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San Gregorio e Limbadi: prorogate le Commissioni di accesso agli atti

La Prefettura di Vibo Valentia concede altri tre mesi di tempo per scandagliare l’attività dei due enti locali ed accertare eventuali infiltrazioni mafiose

San Gregorio e Limbadi: prorogate le Commissioni di accesso agli atti

Ancora tre mesi di tempo per le Commissioni di accesso agli atti nominate dal prefetto di Vibo Valentia, Guido Longo, nell’agosto scorso per accertare eventuali infiltrazioni mafiose nei Comuni di San Gregorio d’Ippona e Limbadi. I commissari avranno così a disposizione ulteriori 90 giorni per esaminare atti e rapporti che possono aver condizionato e compromesso la vita politico-amministrativa dei due enti locali.

Alla base della nomina al Comune di San Gregorio d’Ippona vi sono una serie di segnalazioni da parte delle forze dell’ordine su collegamenti diretti e indiretti fra alcuni amministratori ed esponenti della criminalità organizzata locale riconducibile al clan Fiarè-Gasparro-Razionale.

Il Comune di San Gregorio d’Ippona è già stato sciolto per infiltrazioni mafiose una prima volta nel 2007. Il 27 maggio 2014, la Dia ha notificato un provvedimento di sequestro di un immobile pure all’attuale sindaco, Michele Pannia, nell’ambito di un’inchiesta su presunte attività illecite del boss Saverio Razionale. Nell’ottobre 2015, la Dia di Roma e Catanzaro ha poi confiscato l’appartamento di San Gregorio d’Ippona dimora della famiglia Razionale, intestato fittiziamente, ad avviso degli investigatori, alla famiglia del sindaco.

A Limbadi, invece, il lavoro della Commissione di accesso agli atti è finalizzato ad accertare eventuali infiltrazioni mafiose ad opera del clan Mancuso. Già da tempo un rapporto dei carabinieri ha messo in evidenza i rapporti di frequentazione ed altro con ambienti “contro-indicati”, mentre un attuale assessore comunale è già emersa negli atti dell’inchiesta “Black money-Purgatorio” del Ros di Catanzaro per aver frequentato la casa del boss Pantaleone Mancuso (alias “Vetrinetta”, deceduto nel 2015) e per altri legami di vicinanza con la famiglia dello stesso boss.

Il precedente del 1983. Quello di Limbadi è stato il primo Comune d’Italia ad essere sciolto d’autorità dall’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini. Era il 1983 e fra gli eletti in Consiglio comunale figurava al secondo posto, fra coloro che avevano preso più voti, Francesco “Ciccio” Mancuso (cl. ’29), patriarca e fondatore dell’omonimo clan, un anno dopo finito nella storica operazione antimafia denominata “Francesco Mancuso + 199” nata dalle dichiarazioni di alcuni pentiti (il rosarnese Pino Scriva in testa). All’epoca non esisteva ancora una legge sugli scioglimenti per mafia degli enti locali, ma il presidente Sandro Pertini appena appresa la notizia dell’elezione di Ciccio Mancuso non permise neppure di insediarsi a quel Consiglio comunale appena eletto, sciolto d’autorità per motivi di ordine pubblico e per non far perdere quella credibilità e quel prestigio che un Comune deve sempre mantenere. 

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