Corsi e ricorsi storici: da Iannello a Lo Schiavo, la politica non è per i galantuomini
L’ennesima “porcheria” si consuma all’interno del Pd, un partito che non riesce a superare i suoi vizi antichi e le sue contraddizioni, sacrificando chi non si allinea sull’altare di un potere sempre più vuoto e fine a stesso.
Assistere alla “porcheria” che si sta consumando all’interno del Partito democratico, con la ventilata sfiducia ad Antonio Lo Schiavo da capogruppo in consiglio comunale, è il risultato di un uso meschino della politica a fini non di interesse collettivo ma di occupazione dei posti di comando e di rappresentanza.
Si è di fronte, a mio avviso, a un partito sfregiato e sfruttato a fini personali e non di servizio al territorio. Spiace vedere lo “schianto” di Antonio Lo Schiavo, una persona per bene così come lo era Pino Iannello (a lui furono altri a “cacciarlo” e con altri metodi), guarda caso anche lui stimato notaio. Corsi e ricorsi storici infelici. La storia si ripete non con giganti ma con nani, non con cavalli di razza ma ronzini, non con ideali ma con poche idee. Il Pd ha il vizio, così come tutta la partitocrazia in genere, di cercare all’interno della società civile persone preparate ed affermate, pulite ed oneste per rendersi credibili e soprattutto differenti, diversi, cambiati, rinnovati, ringiovaniti, ma nella sostanza delle cose rimangono un passetto indietro sempre i soliti figuri, i soliti politicanti, i soliti capi corrente, direttori del sempiterno e medesimo mercato delle vacche o tessere che dir si voglia.
Alla fine sono i numeri quelli che contano, Lo Schiavo probabilmente non li ha, vuoi perché giovane e non politico di lungo corso come certa gente che pur anagraficamente giovane ha cambiato più correnti interne di partito che camicie, vuoi perché Lo Schiavo non è avvezzo a certi meccanismi, non è un calcolatore. Se lo fosse stato non avrebbe accettato la candidatura col Pd. È un uomo dalla faccia pulita ed onesta che non si piega ai diktat di ras e capetti locali cui difetta a volte anche l’italiano stesso con cui esprimersi, non è funzionale a certi meccanismi, non si presta ai giochi di potere, è per questo che lo stanno facendo fuori politicamente, così come è stato fatto fuori Pietro Giamborino, dopo aver anche lui turlupinato, servendosi proprio di Lo Schiavo.
Il partito rimarrà il solito feticcio dietro cui si prepareranno le carriere di questo o quel personaggio che può contare su un numero fidato di voti certi acquisiti con anni di sudore, favori, clientelismo, inciuci, azione o inazione politica ed amministrativa. Un mosaico di interessi, un puzzle di posizioni di potere con l’intento della conservazione delle posizioni acquisite e dei privilegi accaparrati.
Peccato per il Pd, peccato per Vibo Valentia e peccato per gli iscritti al Pd, quelli che ci credono e si iscrivono di propria sponte e non perché la tessera gliela pagano. Peccato per Antonio Lo Schiavo vittima sacrificale di un sottobosco di incultura, di manovre di pastori e boscaioli, strateghi da accatto che poi nei luoghi che contano non alzano la voce, non battono i pugni sul tavolo e non fanno nulla per il territorio anzi sfilano in ipocrite e sterili marce di protesta contro l’abolizione della Prefettura. Ci meritiamo questo.