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Omicidio Raso: la Cassazione deposita i motivi della sentenza di condanna per i tre imputati

Si tratta di uno dei più crudeli fatti di sangue avvenuti negli ultimi anni nel Vibonese. La donna soffocata in casa a San Calogero dopo un fallito tentativo di rapina

Omicidio Raso: la Cassazione deposita i motivi della sentenza di condanna per i tre imputati

Sono state depositate dalla prima sezione penale della Cassazione le motivazioni della sentenza con la quale sono divenute definitive le condanne per l’omicidio di Isabella Raso, trovata priva di vita il 15 luglio 2011 dentro la propria abitazione di San Calogero a seguito di una tentata rapina finita in tragedia. Si tratta di uno degli omicidi che più aveva scosso, per le modalità e l’efferatezza, l’intero Vibonese. Al termine del processo con rito abbreviato, Francesco Todarello, 51 anni, di San Calogero, è stato condannato a 14 anni, 4 mesi e 29 giorni di reclusione, Domenico Grillo, 27 anni, e Luigi Zinnà, 31 anni, pure loro di San Calogero, sono stati invece condannati a 12 anni di reclusione a testa.

 La ricostruzione della Cassazione. Nella notte tra il 14 ed il 15 luglio 2015 Todarello, Grillo e Zinnà, travisati da calze di nylon, si introdussero nell’abitazione della cinquantenne, Raso Isabella, dove la stessa viveva da sola; a tal fine Todarello forzò la serratura della porta, in via Alvaro, sita al pianterreno dell’immobile ubicato su due livelli; tramite una scala a chiocciola i tre imputati salirono al primo piano dove erano situati i locali abitati e Todarello si introdusse nella camera da letto della Raso poiché, avendo in precedenza effettuato lavori di falegnameria sull’armadio ubicato nella medesima stanza, conosceva la casa e sapeva che, proprio nell’armadio da lui riparato, la Raso deteneva una cospicua somma di denaro insieme ad oggetti preziosi ed altri valori; entrato nella camera da letto, Todarello non vi trovò la Raso, la quale dormiva su un divano ubicato nell’attiguo soggiorno-cucina, e neppure riuscì a trovare il denaro, sicché ordinò a Grillo e Zinnà di svegliare la Raso perché indicasse loro dove aveva nascosto denaro e valori; una volta destatasi, però, la Raso oppose attiva resistenza fisica e verbale ai suoi aggressori e, in particolare, a Grillo che tentò di trascinarla nel corridoio per portarla in camera da letto; la Raso graffiò Grillo (sulle sue unghie furono, infatti, rinvenuti frammenti di epidermide che gli esami biologici attribuirono con certezza allo stesso imputato confrontandoli col suo Dna estratto da un mozzicone di sigaretta) ed emise alte grida nel disperato tentativo di difendersi ed attirare l’attenzione altrui.

 Tale strenua resistenza, testimoniata anche da aloni rinvenuti sul muro del corridoio e attribuiti ai piedi della Raso sfregati contro l’intonaco, mobilitarono i tre imputati che, insieme, tentarono di zittire la vittima con panni di stoffa, utilizzati sia per tapparle la bocca sia per serrarle i polsi, mentre la Raso, che continuava ad opporsi ai suoi aggressori, era trattenuta per le gambe e le braccia; al termine di queste concitate manovre, la donna apparve come svenuta e articolante solo versi indistinti e, a quel punto, i tre intrusi, presi dal panico, lasciarono la casa senza nulla asportare, uscendo per primo Zinnà, seguito da Grillo e Todarello, attraverso la porta d’ingresso al primo piano, aperta sulla via Campanella.

 La morte della donna. Il mattino del 16 luglio 2011, intervenuti su segnalazione di un vicino di casa, i carabinieri trovarono la Raso esanime, distesa sul pavimento del corridoio in posizione supina, con la parte posteriore del collo e tutto il volto, in particolare la bocca, il naso e gli occhi avvolti da una fascia in tessuto chiaro e con un nodo del medesimo tessuto al polso destro. Dal sopralluogo eseguito nell’immediatezza del rinvenimento del cadavere solo l’armadio della camera da letto risultò messo a soqquadro, con alcune borse della Raso sparpagliate sul letto, all’interno di una delle quali, in un portafogli e in un portamonete, fu rinvenuta la somma in contanti di euro 1.150,00 euro; una somma più cospicua fu poi trovata, all’esito di più accurato sopralluogo, all’interno dell’armadio, in parte custodita in alcuni portafogli, in parte dentro buste da lettera e in altra parte nelle tasche di vestiti e indumenti vari, per l’importo totale di quasi 15.500 euro; nulla risultò sottratto.

 La qualificazione giuridica del fatto. Per la Cassazione ci si trova dinanzi ad un omicidio volontario e va rettificato il dolo, ritenuto eventuale dal giudice di appello di Catanzaro, in dolo diretto per le modalità dell’azione palesemente letali e come tali percepibili secondo la comune esperienza. Nei confronti di Isabella Raso non fu infatti attuato un imbavagliamento limitato al tamponamento della bocca per non farla urlare e, neppure, uno strangolamento inteso come pressione sul collo di forza tale da impedire il movimento respiratorio, ma fu operata una totale costrizione dei varchi respiratori (naso e bocca) estesa a tutto il volto, occhi compresi, interamente e fortemente compresso col panno utilizzato dagli aggressori per bloccare ogni possibile reazione della persona offesa. Tale condotta corrisponde ad un’azione di soffocazione diretta, come definita in sede autoptica, certamente letale nella misura in cui si palesava idonea ad ostruire ogni possibilità di respirazione e, come tale, sostenuta da dolo diretto, ancorché di impeto, indotto dalla imprevista strenua reazione della vittima ai suoi aggressori.

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