Violazione della sorveglianza: assolto a Vibo il boss Francesco Mancuso
Era stato arrestato nel gennaio scorso dai carabinieri di Limbadi. L’accusa non ha però retto al vaglio del giudice
Il gup del Tribunale di Vibo Valentia, Giovanna Taricco, al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato ha assolto il boss Francesco Mancuso, 60 anni, detto “Tabacco”, elemento di vertice dell’omonimo clan della ‘ndrangheta di Limbadi, dall’accusa di violazione della sorveglianza speciale. La contestata violazione risaliva al 31 gennaio scorso quando era stato sorpreso dai militari dell’Arma, diretti all’epoca dal maresciallo Carmine Cesa, in un appezzamento di terreno mentre si accompagnava a dei pregiudicati, nonostante i divieti impostigli dallo status di sorvegliato speciale.
Francesco, “Ciccio”, Mancuso era stato pertanto tratto in arresto, posto ai domiciliari e, dopo la convalida, scarcerato in attesa del processo rinviato alla giornata odierna. La Procura aveva chiesto un anno e 6 mesi di reclusione. Il giudice ha però accolto le argomentazioni dell’avvocato Giuseppe Di Renzo ed ha mandato assolto l’imputato che, già nel corso dell’udienza di convalida dell’arresto, si era difeso sostenendo di non essere a conoscenza dei precedenti penali delle persone con le quali era stato sorpreso in un suo appezzamento di terreno sito in contrada Cafaro del comune di Limbadi.
Il profilo. Francesco Mancuso ha scontato 11 anni di carcere per associazione mafiosa ed usura (operazioni “Dinasty” e “Senza Respiro”). E’ stato poi condannato in primo grado nel maggio 2013 ad ulteriori 6 anni di reclusione per associazione mafiosa nel processo “Genesi”, il cui appello a Catanzaro è ancora in corso di celebrazione. Francesco Mancuso – ritenuto a capo di un’autonoma articolazione del clan – è fratello dei boss Giuseppe Mancuso (alias ‘Mbroghja”), Diego Mancuso e Pantaleone Mancuso, detto “l’Ingegnere”.
Il 9 luglio del 2003 ha subìto un agguato a Spilinga dove è rimasto gravemente ferito. Nell’occasione è morto Raffaele Fiammingo di Rombiolo, detto “Il Vichingo”, ritenuto esponente dell’omonimo clan del Poro e sodale di “Tabacco”. Del fatto di sangue hanno parlato diversi pentiti che, al pari di alcuni dialoghi intercettati, puntano tutti l’indice contro alcuni esponenti della famiglia Mancuso, zii di “Tabacco”. Dopo 14 anni, però, l’agguato è rimasto del tutto impunito.
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