Vibo Marina, il sogno industriale è tramontato: si guardi altrove
La difficile convivenza tra spiagge e petroli e le (in)capacità della politica di saper costruire un futuro che non può più essere quello pensato negli anni ‘60
Il recente dibattito che si è riacceso intorno alla vexata quaestio della presenza dei depositi petroliferi costieri nel territorio di Vibo Marina, a parte le considerazioni in merito alla valutazione del rischio, riporta in primo piano la necessità di prendere decisioni coraggiose e definitive in merito alla permanenza di questo tipo di insediamenti nel perimetro urbano, prevedendo una loro possibile delocalizzazione nell’area industriale. Le perplessità manifestate dall’imprenditore Francesco Cascasi in merito ad un possibile atto interdittivo, da parte degli organismi preposti, alla fruizione delle spiagge, non sono il frutto del cosiddetto “effetto Nimby” (acronimo di “Not in my back yard”, ovvero “Non nel mio cortile”) con riferimento alla circostanza che tale impianto danneggia l’attività ricettivo-turistica condotta in una zona adiacente, ma sono considerazioni fondate nonché utili per avviare una riflessione su una tematica di più ampio respiro, ovvero quella legata al futuro sviluppo del territorio.
A dir la verità, i petrolieri arrivarono prima del turismo; il deposito della Meridionale Petroli (ex Romim) fu costruito nei primi anni ’60 del secolo scorso, quando il lungo arenile che inizia dal porto per arrivare a Bivona era ancora un ininterrotto deserto e il suo utilizzo in chiave turistico-balneare ancora di là da venire. All’epoca appariva tutto perfetto, il luogo ideale per l’installazione di depositi costieri da parte delle compagnie petrolifere e un posto utile per soddisfare le esigenze logistiche statali senza dare nulla in cambio: il porto appariva idoneo all’arrivo delle petroliere e la politica del tempo non andava troppo per il sottile in fatto di problematiche di natura ambientale, concedendo con estrema facilità enormi spazi di territorio che avrebbero potuto avere un utilizzo diverso.
Ma svanito, nelle nebbie di un miraggio, il sogno industriale degli anni 60/70, si rende oggi necessario ricercare altre vie per il rilancio dell’economia locale se non si vuole che Vibo Marina diventi una “ghost town” e la via maestra non può essere che quella legata al settore terziario; Vibo Marina come città dei servizi: turismo, nautica da diporto, trasporti marittimi merci e passeggeri dopo una seria politica di rilancio del porto, strutture ricettive per convegni e meeting, padiglioni fieristici. In tale ottica, la delocalizzazione consentirebbe di liberare spazio di vitale importanza per la realizzazione delle strutture e ciò rappresenterebbe un processo di rigenerazione urbana capace di cambiare radicalmente il volto e l’immagine della cittadina portuale, per la quale il recupero del waterfront diventa una delle azioni utilizzabili per avviare un reale percorso di sviluppo economico e sociale.
Che senso ha, nel 2020, occupare un’area a vocazione turistica, posta a ridosso di un luogo di particolare bellezza naturale, collocata tra il porto e uno splendido arenile frequentato da un numero considerevole di cittadini e di turisti, che potrebbe vivere di altro? Che ne sarà del deposito costiero tra venti anni? Alle future generazioni lasceremo un altro rudere industriale come i tanti di cui è disseminato il territorio del litorale vibonese o lasceremo, invece, un luogo attrattivo, contornato da una bianca lingua di spiaggia, moderna, attrezzata e bagnata da un mare che offre i colori di tutte le sfumature dell’azzurro? Chi deve disegnare e individuare le linee guida per uno sviluppo armonico del territorio comunale sappia, allora, guardare al futuro con coraggio e dimostri di essere in possesso della necessaria capacità di sfruttare le vere risorse dei luoghi.