‘Ndrangheta: dopo 22 anni rispunta il presunto summit a Nicotera con i siciliani
Cosa Nostra avrebbe chiesto ai calabresi di unirsi alle stragi dopo gli attentati ai giudici Falcone e Borsellino, ma su tale proposta non esiste ad oggi alcuna verità giudiziaria
Si torna a parlare del presunto summit a Nicotera Marina che si sarebbe tenuto nel 1993 fra esponenti della ‘ndrangheta calabrese e di Cosa Nostra siciliana, negli atti dell’inchiesta “’Ndrangheta stragista” portata oggi a termine dalla Dda di Reggio Calabria. Non si tratta di una novità, essendo la circostanza emersa per la prima volta nelle carte dell’operazione “Galassia” condotta nel 1995 dalla Dda di Catanzaro (pm Giancarlo Bianchi e Salvatore Curcio) contro i clan della Sibaritide e poi anche nelle carte dell’operazione “Genesi” contro il clan Mancuso, scattata sempre ad opera della Dda di Catanzaro (pm Luciano D’Agostino) nell’agosto del 2000. In nessuna delle due sentenze – Galassia e Genesi - è stato però speso un solo rigo da parte dei giudici dei Tribunali di Cosenza e Vibo Valentia per capire se il racconto del summit, fatto per primo dall’ex boss di Cosenza Franco Pino, sia veritiero o meno. Neanche nello storico processo “Tirreno” contro i clan Piromalli e Molè di Gioia Tauro, Mancuso di Limbadi, Albanese di Candidoni e Galati di Mileto, la Corte d’Assise di Palmi a metà anni ’90 si è pronunciata su tale presunto summit, nonostante pure in quel processo il collaboratore Franco Pino abbia raccontato in aula dell’episodio.
Le dichiarazioni di Franco Pino. Secondo l’ex capo dell’omonimo clan di Cosenza, legato a doppio-filo con il clan Pesce di Rosarno e il clan Piromalli di Gioia Tauro, nel 1992 subito dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio in cui persero la vita i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino – oltre agli uomini della scorta ed a Francesca Morvillo, moglie di Falcone -, alcuni esponenti delle famiglie palermitane e corleonesi di Cosa Nostra avrebbero chiesto alla ‘ndrangheta calabrese di appoggiare la “strategia stragista” su tutto il territorio nazionale pensata dalla mafia siciliana e poi attuata nel 1993 con le stragi di via dei Georgofili a Firenze (maggio 1993, cinque morti) e di via Palestro a Milano nei pressi della Galleria d’arte moderna (27 luglio 1993, cinque morti) e con gli attentati a Roma alle chiese di San Giovanni in Laterano e San Giorgio al Velabro. La richiesta dei siciliani ai calabresi sarebbe arrivata – secondo Franco Pino (in foto) – nel corso di un presunto summit che si sarebbe tenuto all’interno di un villaggio turistico di Nicotera alla presenza, oltre al boss di Cosenza ed al suo braccio destro Umile Arturi, dei boss Giuseppe Farao e Cataldo Marincola di Cirò Marina, Santo Carelli di Corigliano, Franco Coco Trovato di Marcedusa ma a capo della ‘ndrangheta in provincia di Lecco, uno dei figli del defunto boss di Reggio Calabria Paolo De Stefano, Antonino Pesce di Rosarno, Pantaleone Mancuso e Luigi Mancuso, “padroni di casa”. Nel corso dell’incontro i siciliani di Cosa Nostra avrebbero chiesto ai mafiosi calabresi di dargli una mano nella “strategia stragista” contro lo Stato su tutto il territorio nazionale per indurlo a modificare la legge sui pentiti ed attenuare il 41 bis, il carcere duro contro i boss. I calabresi, secondo Franco Pino, ascoltarono i siciliani senza dare alcuna risposta. Franco Pino ne avrebbe poi parlato con Luigi Mancuso (in foto in basso) il quale si sarebbe dimostrato contrario a seguire i siciliani su tale fronte, al pari degli altri boss calabresi. A Franco Pino si è poi aggiunto nel racconto di tale presunto summit anche Antonino Fiume del clan De Stefano di Reggio Calabria che ha però ha indicato quali partecipanti alla riunione personaggi parzialmente diversi da quelli indicati da Franco Pino.
A distanza di 22 anni, nell’odierna operazione “’Ndrangheta stragista” viene quindi “rispolverato” dalla Dda di Reggio Calabria il presunto summit del Vibonese, a Nicotera Marina per la precisione, per dimostrare “l’unitarietà della ‘ndrangheta ovvero – scrivono i magistrati reggini – il suo atteggiarsi a forza mafiosa che verso l’esterno si presentava unita e compatta”.
Altre riunioni, secondo la Dda reggina, si sarebbero svolte nella zona del “mandamento tirrenico” della ‘ndrangheta ovvero Rosarno, Oppido Mamertina e Melicucco in ambiti territoriali sottoposti alla giurisdizione criminale dei Mancuso, dei Piromalli, dei Pesce e dei Mammoliti. Questo quanto si legge nelle carte della nuova inchiesta scattata oggi. Inchiesta nuova, ma con materiale su tale fronte per nulla inedito rispetto a quanto già conosciuto da oltre un ventennio. Nella speranza, questa volta, che ci sia un Tribunale che in sentenza dica una volta per tutte se ci sono elementi per affermare quanto da anni ipotizzato dagli inquirenti.
In relazione all’articolo di cui sopra, dall’avvocato Francesco Sabatino, riceviamo e pubblichiamo:
“In ordine alla Vs. nota che richiama l’odierna inchiesta della Procura Distrettuale di Reggio Calabria denominata “Ndrangheta stragista”, quale difensore del sig. Luigi Mancuso, ritengo sia doveroso ribadire l’assoluta estraneità del mio assistito anche in ordine alla presente indagine. Correttamente è stata da Voi rilevata la risalenza delle dichiarazioni dei collaboratori, essendo pertanto assolutamente naturale che nessun Tribunale si sia espresso in assenza di qualsivoglia contestazione sul punto. Ancora rispetto all’auspicio che “un Tribunale” possa in futuro accertare qualsivoglia ipotesi investigativa, per dovere di verità preme evidenziare che dagli stessi atti dell’inchiesta odierna il sig. Mancuso non sia assolutamente indagato, ma definito semplicemente “persona di interesse investigativo”.