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Processo “Purgatorio”: lo “scontro” fra giudici a Vibo nella deposizione di Cristina De Luca

Il clima da “caccia alle streghe” nel palazzo di giustizia vibonese raccontato oggi in aula dal magistrato poi trasferita a Salerno. “Stoccate” al procuratore Spagnuolo, all’ex presidente Lucisano ed al collega Piscitelli

Processo “Purgatorio”: lo “scontro” fra giudici a Vibo nella deposizione di Cristina De Luca

E’ stata oggi il giudice Cristina De Luca, sino al gennaio 2012 in servizio al Tribunale di Vibo Valentia quale giudice del settore penale, a salire sul banco dei testimoni nel processo nato dall’operazione “Purgatorio” che vede imputati gli ex vertici della Squadra Mobile, Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò, e l’avvocato Antonio Galati. Una testimonianza chiesta inizialmente dalla difesa dell’avvocato Galati, ma che ieri con l’avvocato Sergio Rotundo ha rinunciato alle domande. E’ toccato quindi al pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, porre diverse domande al magistrato di origine campane, giunta a Vibo nel settembre del 1999 ed attualmente in servizio al Tribunale di Salerno.

La deposizione di Cristina De Luca. Il giudice, che ha portato a sentenza importanti processi a Vibo Valentia (sia quale componente del Collegio giudicante e sia quale presidente del Tribunale monocratico), ha spiegato di essere andata via dalla Calabria nel gennaio 2012 e di aver fatto la spola con Vibo sino al giugno 2012. “Ero stata applicata a Vibo dall’allora presidente del Tribunale Roberto Lucisano per finire alcuni processi e portarli a sentenza. Dal lunedì al giovedì lavoravo pertanto per il Tribunale di Salerno – ha spiegato il giudice – mentre il venerdì scendevo a Vibo e ripartivo il giorno dopo. Ho conosciuto l’avvocato Galati tramite il giudice Giancarlo Bianchi, mio presidente di sezione, solo nell’ultimo periodo della mia permanenza a Vibo, credo fra il 2009 ed il 2010. L’avvocato Galati mi è stato accreditato anche da altri colleghi che stimo e di cui non ho mai dubitato o pensato non fossero degni della mia amicizia. La vicenda che ha coinvolto l’avvocato Galati in questo processo mi ha atterrito, lui faceva parte di un gruppo di persone, fra le quali i giudici Giancarlo Bianchi e Manuela Gallo, i vertici della Squadra Mobile Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò, con i quali sono uscita alcune volte a cenare. Io non sempre per la verità – ha aggiunto la dottoressa De Luca – in quanto la mia vita era all’epoca già legata interamente ai miei figli. Il giudice Giancarlo Bianchi l’ho frequentato anche come famiglia poiché all’epoca avevo una relazione sentimentale, che è durata diverso tempo, con il pm Paolo Petrolo, nipote del giudice Bianchi”.

“Sempre serena nei giudizi”. Rispondendo sempre alle domande del pubblico ministero, il teste Cristina De Luca ha quindi sottolineato di non essere “mai uscita da sola con l’avvocato Galati” e che in tale contesto l’amicizia con il legale non ha “mai influito sulla serenità dei giudizi” o dei processi di cui si è occupata a Vibo e nei quali l’avvocato Galati difendeva qualcuno degli imputati. “Io facevo il giudice e lui l’avvocato, ma mai – ha spiegato la dottoressa De Luca – mi sono sentita non serena nei giudizi o nelle sentenze per via di questa conoscenza. Non avevo problemi se dovevo condannare i clienti dell’avvocato Galati come quelli di qualunque altro avvocato che conoscevo. Non mi sono mai fatta influenzare da nessuno e questo a Vibo era risaputo”.

Un’autonomia e serenità di giudizio messa in dubbio però da alcune voci che l’allora presidente del Tribunale di Vibo, Roberto Lucisano (oggi in servizio a Reggio Calabria) le riferì e che crearono una frattura insanabile all’interno del palazzo di giustizia vibonese, in un clima da “caccia alle streghe” di cui ancora oggi se ne intravedono gli strascichi.

Lo “scontro” fra Lucisano e la De Luca. Siamo ad ottobre del 2011 e l’allora presidente del Tribunale, Roberto Lucisano, convoca il giudice Cristina De Luca per chiederle di astenersi dalla trattazione del processo denominato “Golden house” che aveva ad oggetto le presunte irregolarità nella costruzione di alcuni immobili a Bivona e Vibo Marina nel periodo post alluvione 2006. “A presiedere inizialmente il processo Golden House – ha ricordato il giudice De Luca – era Giancarlo Bianchi il quale si è però astenuto poiché conosceva uno degli imputati, l’architetto Giacomo Consoli. La presidenza del Collegio di quel processo passò pertanto a me, affiancata dai giudici a latere Manuela Gallo ed Alessandro Piscitelli. E’ stato il presidente del Tribunale, Roberto Lucisano, nell’ottobre 2011, quando il dibattimento era ormai alle fasi finali, tanto che a gennaio 2012 venne emessa la sentenza, a chiedermi di astenermi dicendomi che alcuni avvocati si erano lamentati con lui dei miei rapporti confidenziali con l’avvocato Galati il quale, prima di alcune udienze, è passato magari a salutarmi e con il quale mi sono intrattenuta al pari di come mi sono sempre fermata a parlare con tutti gli altri avvocati. Mi sentii molto offesa da quanto mi disse il presidente Lucisano. Risposi lui – ha ricordato il teste De Lucache il primo ad entrare nella mia stanza, prima di ogni udienza del processo Golden House, era il procuratore Mario Spagnuolo che in quel processo rappresentava personalmente l’accusa in aula. Invitai quindi Lucisano a dire al procuratore di non entrare più nella mia stanza”.

Le scoperte del giudice De Luca. “Rimasi molto male – ha sottolineato il giudice De Luca – quando scoprì che a lamentarsi della mia amicizia con l’avvocato Galati non erano stati altri avvocati, come mi aveva invece riferito Lucisano, bensì il giudice Alessandro Piscitelli che raccontò cose gravi sul mio conto a Lucisano, al pari del procuratore Spagnuolo che chiese lui a Lucisano di farmi astenere dal processo Golden House. Quando uscì la storia che nell’ottobre 2011 ero stato intercettata al telefono con l’avvocato Galati, mi sono sentita in pericolo e così ho deciso di andare via. Il clima a Vibo era all’epoca quello che era e ho preso la decisione di trasferirmi a Salerno in quanto, a differenza dei periodi di presidenza del Tribunale di Vibo da parte dei giudici Giuseppe Vitale e Nunzio Naso, con Lucisano non ero più serena”.

L’astensione della De Luca respinta da Lucisano. In un clima non proprio idilliaco, ecco dunque che il giudice Cristina De Luca, accogliendo l’invito del presidente del Tribunale Roberto Lucisano, presenta richiesta di astensione dal processo Golden house evidenziando nell’istanza – diretta a Lucisano – la circostanza che ove la sua figura di giudice potesse in qualche modo apparire all’esterno come non indipendente o creare turbamento per via dell’amicizia con Galati, che nel processo difendeva uno degli imputati, si sarebbe astenuta. Il presidente Roberto Lucisano rigettò però l’istanza di astensione presentata dal giudice Cristina De Luca che continuò così a trattare il processo Golden House sino alla sentenza di assoluzione per tutti gli imputati arrivata nel gennaio 2012. Le assoluzioni sono divenute di recente definitive in quanto la stessa Procura generale di Catanzaro ha rinunciato all’appello, condividendo in toto il verdetto assolutorio deciso dal Tribunale collegiale di Vibo presieduto dal giudice Cristina De Luca.

Processo “Golden House”: assoluzioni definitive. La Procura generale rinuncia all’appello

L’istanza di astensione “sparita” e prodotta a Napoli dalla stessa De Luca. Il teste ha quindi aggiunto altri particolari alla vicenda che la dicono lunga sul “clima” all’interno del palazzo di giustizia vibonese che si respirava fra il 2011 ed il 2012. “La mia istanza di astensione e il provvedimento con il quale il presidente Lucisano la respinse venne messa fuori dal fascicolo del dibattimento, tanto che i difensori del processo Golden House non hanno mai saputo della mia richiesta di astensione e della decisione del presidente del Tribunale, Roberto Lucisano, di respingerla. La cosa più assurda – ha raccontato la De Luca – è che fra gli addebiti che mi sono stati poi mossi vi è pure quello secondo il quale avrei scritto in maniera non chiara i motivi di astensione. L’istanza di astensione non è stata però allegata dagli inquirenti. “Come si fa dunque a contestarmi – si è chiesta in aula il teste De Luca – di aver scritto male la richiesta di astensione dal processo Golden House se tale astensione non è stata allegata? Sono stata io, e non la Procura e gli investigatori, a produrre al gip di Napoli – ha spiegato la De Luca – quella richiesta di astensione”.

Un dato di fatto, quest’ultimo, non da poco, atteso che non è il solo documento nell’ambito dell’inchiesta “Purgatorio” a non essere stato prodotto al gip (che doveva esaminare la richiesta di interdizione dalla magistratura di alcuni magistrati, fra i quali la De Luca) dagli inquirenti. Analoga mancata allegazione della richiesta di arresto nei confronti di alcuni esponenti di spicco della “famiglia” Mancuso si è verificata infatti anche per il caso dell’ex pm della Dda di Catanzaro, Giampaolo Boninsegna, poi prosciolto a Salerno da ogni accusa proprio in seguito alla presentazione al gip, da parte dello stesso dottore Boninsegna, di copia di quella richiesta di arresto che i “colleghi” inquirenti di Catanzaro e Salerno avevano “dimenticato” di produrre.

Lucisano e la mancata richiesta di astensione della De Luca dal processo ai Mancuso. Trasferita a gennaio del 2012 al Tribunale di Salerno, l’allora presidente del Tribunale di Vibo Roberto Lucisano applicò quindi il giudice De Luca alla trattazione di alcuni processi che avrebbe dovuto necessariamente portare a sentenza entro il mese di giugno 2012 (uno sulle false fatturazioni ed uno sul clan Mancuso). “Feci allora presente – ha ricordato Cristina De Luca – che pure nel processo ai Mancuso (Minosse 2) l’avvocato Galati difendeva alcuni imputati. Ma in tale processo, a differenza di Golden House, Lucisano mi disse che dovevo venire lo stesso a Vibo per trattarlo. Sottolineai che avevo fatto richiesta di astensione nell’altro processo in cui era impegnato l’avvocato Galati, Golden House, e che quindi sarebbe stato opportuno per le stesse ragioni che mi astenessi pure in questo ai Mancuso visto che l’avvocato Galati era fra i difensori, ma il presidente Roberto Lucisano mi disse che dovevo andare avanti ugualmente”.

I Daffinà e le dichiarazioni del colonello Sozzo. Altri aspetti trattati nel corso della deposizione del giudice Cristina De Luca hanno invece riguardato i suoi rapporti con Ivano Daffinà, titolare di un ristorante, il Filippos, dove “tutti i magistrati del Tribunale di Vibo, ma non io che mi recavo invece dai miei figli, andavano quotidianamente a pranzare. Io ci andavo invece qualche volta la sera per accontentare mio figlio piccolo – ha ricordato il teste – a cui piaceva tanto un dolcino che preparavano in tale locale. Mi ritrovai Ivano Daffinà imputato per lesioni in un processo in cui a difenderlo era l’avvocato Galati. Non ritenni di astenermi in quanto non minata affatto la mia indipendenza di giudizio, atteso fra l’altro che non ho mai avuto frequentazioni con Ivano Daffinà o con suo fratello Tonino Daffinà che conoscevo come cognato del giudice Bianchi. Non ho infatti mai avuto il numero di telefono di nessuno dei Daffinà. Inoltre il teste che accusava Ivano Daffinà era un noto truffatore più volte arrestato a Vibo e l’assoluzione dello stesso Daffinà non mi pare sia stata ribaltata in appello”.

Quindi un passaggio sulla deposizione del colonnello Sozzo (investigatore che ha condotto l’inchiesta “Purgatorio” alla guida del Ros di Catanzaro) nel processo a Napoli che vede imputata la stessa De Luca. “Il colonnello Sozzo ha riferito che io nel ristorante Filippos di Daffinà avevo la sede operativa, ma non so di cosa. Aspetto di sapere, attraverso il controesame che ancora si deve svolgere – ha concluso il giudice Cristina De Luca – quale sede operativa avrei dovuto avere in un ristorante e aspetto quindi di capire di cosa si sta parlando”.

Prossima udienza il 7 agosto.

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