Asta a Vibo per il 501 hotel: respinto il ricorso della Italiantrade, ecco perchè
La società aveva chiesto la revoca della decadenza dall’aggiudicazione e la revoca della bocciatura della rimessione in termini per il versamento del saldo del prezzo della struttura alberghiera. Con la nuova asta il complesso turistico è passato di mano
Aveva chiesto la rimessione in termini per il versamento del saldo del prezzo per l’acquisto del 501 hotel aggiudicato all’asta il 15 dicembre del 2016, la società “Italiantrade srl” di Vibo Valentia, ma il giudice dell’esecuzione il 20 aprile scorso l’aveva respinta dichiarando la decadenza dall’aggiudicazione. Con ricorso presentato il 16 maggio la Italiantrade srl (società costituita da professionisti vibonesi – avvocati, anche originari del reggino, e imprenditori –) ha così proposto opposizione avverso il provvedimento del 20 aprile chiedendo, previa sospensione, la revoca del provvedimento impugnato, nonché la rimessione in termini per il versamento del saldo del prezzo o, in subordine, l’autorizzazione a procedere al pagamento rateale del saldo del prezzo.
Il giudice dell’esecuzione del Tribunale di Vibo Valentia, Valentina Di Leo, con decisione depositata ieri, ha però rigettato l’istanza di sospensione dell’esecuzione e ogni altra istanza proposta dalla Italiantrade srl con ricorso in opposizione depositato il 16 maggio scorso, confermando l’atto esecutivo impugnato, disponendo la prosecuzione della procedura esecutiva e condannando la Italiantrade srl alla rifusione delle spese di lite della presente fase cautelare in favore del Monte dei Paschi di Siena e “Arena Npl One srl”, liquidandole per ciascuno in complessivi 3.713,00 euro per compensi di avvocato, oltre spese generali al 15%, iva e cpa come per legge.
Le ragioni del giudice. Seppure sulla base di un giudizio prognostico a carattere sommario, proprio di tale fase, i motivi di opposizione, ad avviso del giudice, “non appaiono sorretti da fondamento giuridico”. Secondo il magistrato, nel caso di specie “deve muoversi dal presupposto della perentorietà del termine per il versamento del saldo prezzo in materia esecutiva. La Cassazione – in una pronuncia richiamata dal giudice del Tribunale di Vibo – ha infatti ribadito nel 2015 che “in tema di espropriazione immobiliare, il termine per il versamento del saldo del prezzo da parte dell’aggiudicatario del bene staggito va considerato perentorio e non prorogabile, attesa la necessaria immutabilità delle iniziali condizioni del subprocedimento di vendita, da ritenersi di importanza decisiva nelle determinazioni dei potenziali offerenti e, quindi, del pubblico di cui si sollecita la partecipazione, perché finalizzata a mantenere – per l’intero sviluppo della vendita forzata – l’uguaglianza e la parità di quelle condizioni tra tutti i partecipanti alla gara, nonché l’affidamento di ognuno di loro sull’una e sull’altra e, di conseguenza, sulla trasparenza assicurata dalla coerenza ed immutabilità delle condizioni tutte”.
A fondamento dell’istanza di rimessione in termini per il versamento del saldo del prezzo, “l’odierna opponente – scrive il giudice – aveva allegato la mancata erogazione del mutuo da parte delle banche interpellate da essa aggiudicataria”. Per il magistrato va però ribadito che il presupposto per la rimessione in termini è che “la parte dimostri di non aver potuto esercitare tempestivamente il potere processuale per una causa a lei non imputabile o per caso fortuito o per forza maggiore”. L’ostacolo derivante da causa non imputabile deve presentare “il carattere dell’assolutezza, non essendo sufficiente la prova di un’impossibilità, cioè delle semplici difficoltà”.
Il ricorso al finanziamento. In punto di diritto, il giudice spiega quindi che “il ricorso al finanziamento bancario da parte dei partecipanti alle vendite forzate costituisce una facoltà, della quale gli stessi possono – ovviamente – avvalersi, ma assumendosi evidentemente il rischio di disguidi o di ritardi nell’erogazione del finanziamento rispetto alla perentorietà del termine”. Tutto ciò per una ragione semplice, quanto elementare: “ove così non fosse – ribadisce il giudice – tutti gli aggiudicatari potrebbero chiedere di essere rimessi in termini per il versamento del saldo del prezzo, adducendo la mancata erogazione del finanziamento da parte della banca”. Ciò determinerebbe, come evidente conseguenza, una generale incertezza per gli aspiranti acquirenti ed un imprevedibile allungamento dei tempi processuali.
Le deduzioni della Italiantrade respinte. Per il giudice alcuna rilevanza può inoltre assumere la comunicazione della “Medeura”, prodotta dalla Italiantrade srl, che si riferisce al positivo apprezzamento dei controlli preliminari ed all’inserimento del progetto in un più ampio piano di investimento, ma “non già all’erogazione vera e propria del danaro, essendo peraltro la comunicazione medesima del tutto priva di qualsivoglia indicazione circa i tempi del finanziamento, che restano assolutamente vaghi ed indefiniti. Anche la circostanza secondo cui il termine di 120 giorni per il versamento sarebbe troppo “ristretto” è del tutto irrilevante nel momento in cui l’interessato decide di partecipare alla vendita forzata. Lo stesso – sottolinea il Tribunale – ben conosce le condizioni della stessa e dichiara di accettarle, senza contare poi che, per legge, detto termine non può essere superiore a 120 giorni dall’aggiudicazione”.
Consentire il versamento rateale del saldo del prezzo dopo l’aggiudicazione si porrebbe inoltre “in netto contrasto con il principio di necessaria immutabilità delle iniziali condizioni del subprocedimento di vendita”. Infine, il precedente del giudice dell’esecuzione del Tribunale di Palmi, richiamato e prodotto dalla Italiantrade srl, non è stato ritenuto condivisibile in quanto oltre a non essere pertinente in quanto, oltre a non essere pertinente (perché relativo alla proroga del saldo del prezzo e non alla rimessione in termini) contrasta con l’orientamento, cui si è ritenuto di aderire, espresso dalla Cassazione
Per tali motivi, ad avviso del giudice, non può pertanto ritenersi sussistente il fumus boni iuris necessario per disporre la sospensione dell’esecuzione o del provvedimento impugnato, ovvero la revoca dello stesso.
Da qui la nuova asta (dove la Italiantrade non ha fatto pervenire alcuna offerta) e l’aggiudicazione del 501 ad una società di Reggio Calabria (LEGGI QUI: Il 501 Hotel aggiudicato ad una società di Reggio attiva nel turismo vibonese)
Asta a Vibo Valentia per il 501 Hotel: la “Italiantrade” dichiarata decaduta dall’aggiudicazione
Respinta l’istanza di astensione. Il giudice, Valentia Di Leo, ha inoltre dichiarato inammissibile l’istanza di astensione depositata nella cancelleria del giudice dell’esecuzione l’11 luglio scorso 2017 dagli avvocati Giovanni Marafioti e Francesco De Luca nell’interesse della “Italiantrade srl”. Per il magistrato l’istanza in questione in cui si chiede che il giudice dell’esecuzione si astenga dal trattare “tutti i procedimenti nei quali è parte la Italiantrade S.r.l. non può essere riferita al giudizio di opposizione agli atti esecutivi proposto dalla Italiantrade S.r.l. con ricorso depositato il 16.5.2017 ed assunto in riserva all’udienza del 5.7.2017. L’istanza non è stata ritenuta qualificabile come ricusazione in quanto priva dei rigorosi requisiti formali e temporali previsti dal codice di procedura civile.
A sostegno dell’istanza si deduce infatti l’avvenuto deposito, da parte della legale rappresentante della Italiantrade S.r.l., di un esposto-denuncia nei confronti del giudice, ma all’istanza – fa notare lo stesso magistrato – risultano “allegate solo la prima e l’ultima pagina dell’esposto in questione”. Ad avviso del giudice, Valentia Di Leo, quindi, non ricorre alcuna delle ipotesi di astensione obbligatoria di cui all’art. 51 c.p.c., dovendosi al riguardo evidenziare che, secondo il costante insegnamento della Suprema Corte, l'”inimicizia grave” fra il giudice e una delle parti private, deve comunque essere originata da fatti estranei al processo, e non può derivare dall’attività giurisdizionale del magistrato.
Anche ove l’istanza dovesse essere considerata quale sollecitazione all’esercizio dell’astensione facoltativa, la stessa sarebbe inammissibile in quanto la valutazione delle “gravi ragioni di convenienza” di cui all’art. 51 ultimo comma codice di procedura civile è rimessa alla discrezionalità del magistrato, che può chiedere al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi;. Nel caso di specie non sono invece ravvisabili “gravi ragioni di convenienza” per richiedere “al capo dell’ufficio l’autorizzazione ad astenersi”, anche tenuto conto del costante orientamento della Suprema Corte in materia.