“Water warriors”, al Valentianum di Vibo la mostra di Lynn Johnson del National Geographic
Promossa da Bluocean, l’esposizione fotografica propone 50 opere in grande formato che rappresentano la “guerra giornaliera che numerosi popoli devono affrontare giornalmente per procacciarsi il prezioso liquido”
La grande mostra “Water Warriors” di Lynn Johnson, prodotta in esclusiva da Bluocean, sarà allestita a Vibo Valentia e fruibile da oggi, lunedì 10 luglio, nei Saloni del Complesso Valentianum. L’evento, curato da Francesco Scarpino, “internazionalizzerà” fortemente l’offerta culturale e artistica della regione che sarà inserita nel prestigioso circuito delle mostre riservate ai Grandi fotografi del nostro tempo, e di National Geographic, di cui Lynn Johnson è autorevole espressione.
L’allestimento segue i canoni delle grandi mostre prodotte da Bluocean; quasi 50 opere stampate in grande formato con dimensioni che arrivano a raggiungere anche i 2 metri x 2. Lynn Johnson, che sarà in Calabria dall’8 al 13 luglio, per dirigere un modulo del Bluocean’s Workshop, evento didattico di alta formazione fotografica patrocinato da National Geographic Italia e giunto all’8a edizione, inaugurerà l’evento alla presenza di importanti firme della fotografia e del giornalismo italiano nonché delle autorità locali. Sarà presente Marco Pinna photoeditor di National Geographic Italia.
Il progetto, frutto dell’esclusiva partnership tra Bluocean e National Geographic, prevede successivi allestimenti della mostra, da settembre fino a dicembre, nelle città di Reggio Calabria, Catanzaro e Cosenza. Considerata una delle personalità più importanti del mondo della fotografia contemporanea, storica photoreporter e componente della redazione centrale di National Geographic Washington, nonché apprezzata insegnante; al suo lavoro è stato dedicato un volume de “I Grandi Fotografi”, collezione riservata solo ai grandi della fotografia del nostro tempo.
La tematica di grande attualità e interesse globale è riferita all’acqua, e alla guerra giornaliera che numerosi popoli devono affrontare per procacciarsi il prezioso liquido. Il lavoro di una delle più grandi fotografe contemporanee documenta così la vita di alcune comunità africane, puntando l’attenzione sulle donne e il bene primario qual è l’acqua. Il visitatore si troverà immerso in un mondo lontano, dove povertà e sofferenza sono raccontante con sensibilità e maestria.
Senza acqua si muore. «Sappiamo da quando siamo nati che questa sarà la nostra vita», dice Gale Deyknto, mentre si china a issare una tanica di acqua del peso di 80 chili sulla schiena. Per trovare l’acqua si può camminare anche più di due ore o due giorni, su e giù per montagne, deserti, rischiando di essere aggredite da uomini interessati al loro corpo e non all’acqua. Le donne ritratte in queste fotografie vivono in Kenya, Tanzania ed Etiopia, ma condividono lo stesso destino con le donne di tutto il mondo in via di sviluppo.
Le donne e le ragazze sono i portatori d’acqua, bestie da soma e per questo sono a rischio di lesioni, malattie e violenze; i loro fratelli sono studenti e futuri lavoratori. «Abbiamo la responsabilità di essere sia educatori che giornalisti, il nostro compito consiste nel non manipolare le persone, ma onorare le loro storie per condividere una visione della vita. Dobbiamo aiutare le persone a guardare le cose che non potrebbero o non vogliono vedere. Quando il reportage affronta un tema complesso si cerca sempre un soggetto che possa simboleggiarne gli aspetti cruciali».
Della fotografia, Lynn Johnson dice ancora: «Non credo possiate capire: io devo farlo». E lo fa da più di trent’anni. Che documenti la vita del popolo Dong in Cina, quella degli agricoltori in Zambia o le vittime dell’influenza aviaria, trova sempre il momento più adatto per scattare. «Fotografare vuol dire saper ascoltare e cogliere la ricchezza delle storie – dice -. Il mio compito è condividere quelle storie con onestà e forza».
“I guerrieri dell’acqua”, la fotografa Lynn Johnson espone a Vibo Valentia
Comincia a lavorare a metà degli anni settanta, quando nel campo della fotografia le donne erano una minoranza. Prima di laurearsi al Rochester institute of technology, nel 1975, lavora come assistente del primo fotografo presidenziale, Yoichi R. Okamoto, il fotografo di Lyndon Johnson, in occasione di un suo incarico a Rochester. Quando Lynn arriva per il suo primo giorno di lavoro, Okamoto resta sconvolto. «Una ragazza! Io non lavoro con una ragazza. Non sarà mai in grado di portare la mia attrezzatura», esclama il fotografo.
«Ovviamente da quel momento ho fatto di tutto per dimostrargli che aveva torto», racconta Johnson, che è rimasta amica di Okamoto fino alla sua morte. Dopo il college lavora per sette anni come fotografa per il quotidiano Pittsburgh Press, incarico che lascia per partecipare al progetto di un documentario sulla vita dei pescatori di Long Island commissionato dall’ereditiera Adelaide de Menil. L’esperienza la spinge a intraprendere una carriera nel campo della fotografia documentaristica. Di lì a poco le sue immagini appaiono su Life, Newsweek, Sports Illustrated e, nel 1989, National Geographic.
Sono in molti nel settore a dire che Lynn Johnson – che fa parte dell’associazione di giornalisti John S. Knight e ha ottenuto il Robert F. Kennedy Journalism Award per i suoi straordinari reportage sulle persone svantaggiate – ha aperto la strada alle giovani generazioni di fotografe, benché lei noti ancora un divario di genere. «E’ un problema a tutti i livelli: sia per quello che decidi di fotografare che per il modo in cui vieni accolta. Poi sei tu che devi decidere se vuoi farne un problema». Johnson, che vive vicino a Pittsburgh, dice di non avere altra scelta che fare la fotoreporter.
«E’ come una droga», confessa, ammettendo di non riuscire a resistere al richiamo delle emozioni forti. «E’ un risveglio di cellule e fibre nervose. E’ il mio corpo sprofondato in poltrona a gambe incrociate che si distende e si protende in avanti. Un senso di allerta che mi riempie dal di dentro. E mi ritrovo sul bordo della poltrona a combattere l’impulso di alzarmi. Spero sempre che le fotografie spingano le persone all’azione. E’ questo il motivo per cui faccio quello che faccio».
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