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Inchiesta “Dinasty 2”: il villaggio del giudice Pasquin e la condanna annullata al boss Mancuso

Ecco le motivazioni con cui la Cassazione ha ordinato un nuovo processo per il capoclan di Limbadi accusato di estorsione al “Melograno village” di Parghelia

Inchiesta “Dinasty 2”: il villaggio del giudice Pasquin e la condanna annullata al boss Mancuso

Mancanza di motivazione adeguata sui rilevi sollevati dalla difesa dell’imputato, mancanza totale di giustificazioni per identificare tale “’Zi ‘Ntoni”, nelle conversazioni intercettate dagli investigatori, come Antonio Mancuso, e mancata spiegazione di come il finanziamento per la realizzazione di un villaggio turistico a Parghelia – al quale sarebbe stata interessata l’allora giudice del Tribunale di Vibo, Patrizia Pasquin – sia stato convogliato in favore dell’imputato.

Questi i passaggi più significativi delle motivazioni della sentenza con la quale il 16 marzo scorso la Suprema Corte ha annullato con rinvio alla Corte d’Appello di Napoli la sentenza di condanna a 7 anni di reclusione inflitta ad Antonio Mancuso, 79 anni, di Limbadi, dalla Corte d’Appello di Salerno il 17 aprile 2015.

A depositare le motivazioni del verdetto è stata nella tarda serata di ieri la seconda sezione penale della Corte di Cassazione che ha rinviato per un nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Napoli.

Antonio Mancuso, a capo del “locale” di ‘ndrangheta di Limbadi e Nicotera, è accusato dei reati di estorsione consumata e tentata ai danni di Settimia Castagna e dell’allora presidente della sezione civile del Tribunale di Vibo Valentia, Patrizia Pasquin, interessate alla costruzione del villaggio turistico “Melograno Village” a Parghelia. Per l’accusa – Antonio Mancuso attraverso l’imprenditore vibonese Antonino Castagna – avrebbe ricevuto parte della prima trance del finanziamento pubblico a fondo perduto erogato al “Malograno Village srl”. Pagamento della prima quota (anticipazione del 20% della sovvenzione richiesta) quale condizione indefettibile per operare in maniera “tranquilla” sul territorio di Parghelia.

Il finanziamento, peraltro, secondo l’accusa sarebbe stato ottenuto dal villaggio turistico in maniera illecita, cioè attraverso una truffa ed una serie di falsi.

Per la Cassazione, tuttavia, non vi è alcuna prova di un passaggio di danaro da Antonino Castagna ad Antonio Mancuso ed in più nel parallelo troncone processuale l’imprenditore Antonino Castagna è stato assolto con formula ampia da ogni contestazione.

La Corte d’Appello di Salerno, ad avviso della Suprema Corte, ha eluso sul punto ogni obbligo motivazionale sui rilievi sollevati dagli avvocati Giancarlo Pittelli, Giuseppe Di Renzo, Sergio Rotundo e Alfredo Gaito.

“Il giudice dell’ appello – sottolinea infatti la Cassazione – pur potendo condividere e fare proprie le considerazioni svolte da quello di prime cure, non ha la possibilità di limitare il contenuto del suo dovere argomentativo secondo valutazioni personali e discrezionali, ma è tenuto a confrontarsi con gli elementi che sono stati prospettati dalle parti processuali procedendo a un compiuto esame di tutte le censure rivolte dall’appellante alla sentenza di primo grado dotate del requisito della decisività, a cui deve poi replicare con una motivazione completa”.

Per la Cassazione “così non ha fatto la Corte d’Appello di Salerno la quale ha innanzitutto implicitamente dato per scontata l’ identificazione del soggetto qualificato nelle conversazioni intercettate come zio ‘Ntoni in Antonio Mancuso senza offrire alcuna giustificazione ad un simile assunto”.

Nel contempo la Corte d’ Appello di Salerno si è limitata a evocare una “generica cointeressenza fra il Mancuso e il Castagna che, oltre a fondarsi ancora una volta sull’ identificazione criticata dalle difese, non spiega affatto, in termini concreti e in maniera coerente con i motivi offerti dal giudice di primo e in sede di appello per giungere alla progressiva assoluzione degli altri originari coimputati, come il denaro proveniente dal finanziamento pubblico – rimarca la Suprema Corte – sia stato convogliato a favore dell’ imputato”.

Da qui l’annullamento con rinvio della sentenza di condanna a 7 anni inflitta al boss Antonio Mancuso e atti alla Corte d’Appello di Napoli per un nuovo processo di secondo grado.

L’operazione “Dinasty 2 – Do ut Des”, scattata nel 2006 e che ha portato alle accuse nei confronti di Antonio Mancuso è stata condotta sul campo dalla Squadra Mobile di Vibo Valentia diretta all’epoca da Rodolfo Ruperti e Fabio Zampaglione, con il coordinamento della Dda di Salerno (pm De Masellis e Gambardella).

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