La Sacra Sindone per Natuzza Evolo, il figlio: «Legame profondo»
Antonio Nicolace rievoca le sudorazioni ematiche della mistica di Paravati che, nel periodo della quaresima, imprimevano sui tessuti rappresentazioni simili a quelle del sacro lenzuolo
Quest’anno il Covid-19 ha reso indubbiamente “particolare” il periodo di quaresima che ha preceduto la Pasqua. Il popolo cristiano, e non solo, si è ritrovato costretto ad affrontare una pandemia che ancora oggi continua a mietere migliaia di vittime in tutto il mondo. Un “mostro” invisibile che, con trame tipiche da film “Virus letale”, ha cancellato in un batter d’occhio un’intera generazione di nonni e ha spazzato via, in un colpo solo, modi di essere, di vivere e di pensare consolidati da sempre.
I credenti, in questi momenti di sofferenza planetaria, si sono ritrovati uniti come non mai attorno al loro pastore. Rimarranno impresse in modo indelebile, ad esempio, le immagini di papa Bergoglio che in una deserta piazza San Pietro chiede a Dio la fine della pandemia, così come i frangenti in cui centinaia di migliaia di persone si sono ritrovati collegati on line, in preghiera, davanti alla Sindone esposta straordinariamente nel Duomo di Torino.
Il lenzuolo di lino riporta l’immagine di un uomo con segni di maltrattamenti e torture compatibili con quelli descritti nella passione di Gesù. La Chiesa lo identifica con quello usato per avvolgere il suo corpo nel sepolcro. Nonostante questo, però, il dibattito rimane tuttora aperto, tra chi pensa che il lenzuolo rappresenti una riproduzione di epoca medievale e chi, al contrario, propende per la sua autenticità. Di questi ultimi faceva sicuramente parte Natuzza Evolo, la mistica con le stigmate di Paravati, di cui è in corso il processo di beatificazione. [Continua]
Del resto, il legame dell’umile donna calabrese con la Sindone era profondo. A chi le chiedeva di esprimersi al riguardo, rispondeva: “È veramente il lenzuolo che ha avvolto Gesù il Venerdì Santo, ma la scienza non riuscirà mai a provarlo”. Parole nette, che non lasciavano spazio a fraintendimenti. Morta nel giorno di Ognissanti del 2009, Mamma Natuzza nel periodo della Settimana Santa ha rivissuto per gran parte della sua vita le fasi e i dolori della passione di Cristo, offerti per la salvezza delle anime.
Natuzza e la Pasqua, la Passione di Gesù attraverso le stigmate
Giorni contrassegnati da sudorazioni ematiche che, a contatto con bende e fazzoletti, divenivano simboli e scritte in lingue moderne e antiche. Dalle sue carni affioravano, tra l’altro, disegni, cuori, ostensori raggianti, corone di spine, ma anche il volto della Sindone, così come ha fatto notare nei giorni scorsi – “quale motivo di riflessione sulla caducità della vita e sul tragico momento che sta vivendo l’umanità” – il figlio Antonio Nicolace.
Nell’emografia si vede un viso simile a quello del sacro lenzuolo, con tanto di ferite, inparticolare sul naso e sulle sopracciglia. A confermare con un sorriso che quello sul frammento di garza è, effettivamente, il volto di Cristo, la stessa Serva di Dio, interpellata quando si trovava ricoverata in un ospedale di Roma. Tra i medici che l’hanno assistita nei momenti di agonia in cui riviveva la passione, tanti quelli entrati dubbiosi e usciti fuori da quelle stanze da credenti. A conti fatti, solo alcune delle migliaia di anime “riportate all’ovile”, grazie al carisma dell’umile mistica di Paravati.