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Coronavirus, il limbo dei lavoratori rientrati a Vibo: «Ci diano l’esito del tampone»

Si sono “auto-denunciati” al loro ritorno e da oltre 15 giorni si trovano in quarantena. Ora chiedono rassicurazioni prima di riabbracciare le rispettive famiglie: «L’Asp non ci ha dato alcun referto, ci dica cosa dobbiamo fare»

Coronavirus, il limbo dei lavoratori rientrati a Vibo: «Ci diano l’esito del tampone»

Hanno rispettato scrupolosamente le restrizioni imposte dalla loro condizione di lavoratori rientrati dal Nord Italia nella propria città di residenza. Si sono auto-denunciati al momento del loro ritorno, avvenuto prima della metà di marzo e, dunque, prima dello stop totale agli spostamenti. Quindi, si sono posti in isolamento domiciliare e sottoposti al tampone, restando chiusi in casa per il dovuto periodo, tagliando ogni rapporto sociale e familiare.

È questa la situazione in cui versano decine di lavoratori rientrati, a Vibo e provincia, da altre regioni e che ora, al termine del periodo di quarantena, si trovano in un limbo dal quale non sanno come uscire. Nessuna comunicazione in merito – nonostante i ripetuti solleciti – viene fornita loro dall’Asp. E se al momento prevale il senso di responsabilità, che li induce a prolungare ancora la quarantena prima di far rientro nelle rispettive famiglie, la condizione d’incertezza rischia di diventare insopportabile. [Continua]

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La sede dell’Asp di Vibo

Ma c’è di più. A preoccupare maggiormente i lavoratori è la circostanza che nessun riscontro ufficiale è stato loro fornito circa l’esito del tampone. «Nessun certificato, nessun referto che in qualche modo ci tranquillizzi – spiega al telefono Andrea, lavoratore del settore ricettivo, rientrato insieme a diversi colleghi dalla Valle D’Aosta dopo la chiusura della struttura -. Ho contattato l’Asp diverse volte per avere un riscontro. In un’occasione, forse per tranquillizzarmi, mi è stato riferito che il tampone era negativo e alla mia richiesta di avere copia del referto, mi è stato detto che lo avrebbero mandato a casa, cosa mai avvenuta. Nel corso di ulteriori chiamate addirittura mi era stato riferito che il risultato non si trovava o che da Catanzaro ancora non avevano mandato nulla. A questo punto non so più che pensare».

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Andrea vive recluso da oltre 15 giorni in una seconda casa della sua famiglia, nel rispetto dell’ordinanza che il Comune gli ha fatto recapitare. Sta bene, non ha sintomi, ma prima di riabbracciare sua moglie e sua figlia che non vede da mesi, pretende di avere certezza del suo stato di salute. Come lui i suoi colleghi con i quali ha fatto ritorno a Vibo, anche loro sottoposti al tampone e anche loro rassicurati – ma solo verbalmente – sulla negatività del test. «Ci dicano come dobbiamo comportarci – dichiarano Cosimo e Domenico -, noi abbiamo seguito tutte le regole».

«Non possono lasciarci la responsabilità della decisione di tornare a casa nostra, nelle nostre famiglie, senza la certezza che tutto andrà per il meglio», gli fanno eco Alessandro e Maria Teresa.

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Una condizione, quella di questi lavoratori rientrati e auto-isolati, comune a tutti coloro che si sono sottoposti a quarantena volontaria perché tornati dal Nord. Una questione che desta preoccupazione anche negli amministratori pubblici che hanno chiesto all’Azienda sanitaria provinciale opportune verifiche prima di autorizzarne il rientro in società. Come hanno fatto, tra gli altri, i sindaci di Nicotera e Cessaniti, Giuseppe Marasco e Francesco Mazzeo, che nei giorni scorsi hanno scritto all’Asp per chiedere istruzioni sul da farsi e sollecitare l’effettuazione di nuovi tamponi. Richieste, allo stato, rimaste senza esito che non fanno che alimentare l’ansia di intere famiglie.           

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