lunedì,Novembre 25 2024

Sequestro all’imprenditore Angelo Restuccia: tirato in ballo Elio Costa

L’allora magistrato, ed oggi sindaco di Vibo, avrebbe dovuto interrogare l’imprenditore ma si sarebbe poi fatto riparare una sua casa a Capo Vaticano

Sequestro all’imprenditore Angelo Restuccia: tirato in ballo Elio Costa

Spunta anche il nome dell’attuale sindaco di Vibo Valentia, Elio Costa, o meglio del “giudice Costa”, nel decreto del Tribunale di Reggio Calabria, Sezione “Misure di Prevenzione”, con il quale sono stati sequestrati beni per un valore complessivo di 28 milioni di euro all’imprenditore vibonese Angelo Restuccia, 80 anni, originario di Rombiolo ma residente a Mesiano di Filandari, ritenuto contiguo e funzionale agli interessi dei clan Mancuso e Piromalli.

Costa viene tirato in “ballo” nella sua funzione di magistrato per un presunto mancato interrogatorio nei confronti di Angelo Restuccia e per via di una sua casa a Capo Vaticano che sarebbe stata visionata dall’imprenditore ed oggetto di lavori da parte dei suoi operai.

Questa la ricostruzione degli eventi messa nera su bianco nel decreto di sequestro firmato dai magistrati del Tribunale di Reggio Calabria – in accoglimento di una proposta della Dda – Ornella Pastore, Vincenza Bellini e Alessandra Borselli.

E’ il 10 giugno del 2013 ed Angelo Restuccia nel corso di un dialogo con un’altra persona non meglio identificata – intercettato dagli investigatori – fa riferimento a convocazioni della Guardia di finanza, “specificando – scrivono i giudici del Tribunale di Reggio – che si trattava di lavori edili per la realizzazione di case popolari a Porto Salvo. Nel prosieguo Restuccia, che aveva fatto risalire al 1987 la realizzazione di detti lavori, asseriva di essere riuscito sempre a cavarsela perché andava lui a trovare determinate persone, alludendo verosimilmente ai Tripodi, escludendo ogni tipo di ingerenza delle stesse”. “ Sempre così gli dicevo io, no? E la scivolavo, no?” sono le esatte parole riportate dai giudici nel decreto di sequestro e che sarebbero state pronunciate da Restuccia nel corso dei dialoghi captati.

“Che Restuccia stesse parlando della stessa vicenda collegata ai Tripodi, già oggetto di un precedente discorso – scrive ancora il Tribunale di Reggio – si ricava dalle successive rivelazioni allorquando ha affermato che si era dovuto recare al Tribunale di Vibo Valentia per essere interrogato dalla Pasquin che di fatto aveva chiesto di eseguire l’interrogatorio al suo avvocato”, mentre in altro passaggio Angelo Restuccia, secondo la ricostruzione dei magistrati reggini, “lasciava intendere alla moglie che la Pasquin era stata coinvolta astutamente in questioni illecite (“a questa l’hanno tirata nel sacco”) “.

Secondo i giudici del Tribunale di Reggio Calabria, quindi, Angelo Restuccia sarebbe stato convocato dalla Guardia di finanza per essere interrogato dall’allora giudice Patrizia Pasquin in servizio al Tribunale di Vibo. A questo punto, però, secondo il racconto che Angelo Restuccia fa nelle intercettazioni, il giudice avrebbe detto al legale di Restuccia: “E interrogalo tu per me. Io lo devo interrogare? Interrogalo tu che io non me ne impiccio. “L’avvocato mio stesso riferisce Restuccia al suo interlocutore – ad interrogarmi”.

Il giudice Costa e la casa a Capo Vaticano. A questo punto, il Tribunale di Reggio Calabria, Sezione “Misure di Prevenzione”, così continua testualmente nella ricostruzione degli eventi. “Restuccia poi accostava la Pasquin – scrivono i magistrati – al giudice Costa (perché lei capiva chi era colpevole, chi non era colpevole e come…come lo stesso giudice Costa, questa la frase esatta pronunciata da Restuccia nelle intercettazioni) riferendo di essere stato convocato da quest’ultimo in occasione di un interrogatorio, atteso che era implicato in diverse situazioni “con questa gente” (“poi chiama a me per interrogarmi, non mi ricordo per che cosa allora, che ne avevamo di impicci allora, in tutti i modi con questa gente…delinquente in giro”).

“Restuccia riferiva che nell’occasione il giudice Costa, il quale aveva costruito una villa a Capo Vaticano e non l’aveva mai abitata per via di una lesione di una trave, invece di interrogarlo, gli aveva chiesto un parere per la casa, conducendolo lì ove l’aveva visionata. Restuccia rivelava inoltre – evidenziano i magistrati – di aver mandato a casa del magistrato gli operai per gli interventi del caso risolvendogli il problema”.

“Poi gli ho mandato io gli operai per montare le tegole e tutto…l’ha abitata…mi ha incontrato dopo una ventina di anni e “avevate ragione” ha detto, “sennò ancora quella casa io ancora non l’abitavo e c’era quale pericolo?” Questa la frase che Angelo Restuccia avrebbe detto nelle intercettazioni riferendosi alla casa a Capo Vaticano dell’allora giudice Costa in servizio quale sostituto procuratore a Vibo Valentia.

“Altresì lo stesso Restuccia – scrivono i magistrati di Reggio – dopo aver asserito “mi chiamavano ma non è che mi hanno condannato mai” lasciava trasparire di avere ricondotto l’assenza di conseguenze penali al fatto di aver celato la verità, di aver mentito agli inquirenti, avendo riferito di essersi recato sempre lui dai suddetti soggetti “non sapendo che erano mafiosi” e di aver contato sul fatto che comunque avevano la disponibilità di veicoli commerciali (pale, camion ed escavatori)”.

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