‘Ndrangheta: clan dei Piscopisani fra rapine e attività commerciali a Vibo
Fra le contestazioni anche una tentata estorsione a ditte impegnate in lavori pubblici e la gambizzazione di un imprenditore
Quasi ottanta capi d’imputazione nella richiesta di rinvio a giudizio elevata dal pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, nei confronti di 57 imputati coinvolti nell’inchiesta “Rimpiazzo” contro il clan dei Piscopisani. Fatti e misfatti ricostruiti attraverso serrate indagini della Squadra Mobile di Vibo Valentia, iniziate nel 2011 e che hanno avuto un’importante accelerazione grazie alla decisione di Raffaele Moscato (killer e vertice del clan dei Piscopisani) di collaborare con la giustizia nel marzo del 2015 dopo essere stato arrestato quale esecutore dell’omicidio di Fortunato Patania nel 2011, risposta dei Piscopisani al clan di Stefanaconi a seguito dell’eliminazione dell’agricoltore Michele Mario Fiorillo. [Continua dopo la pubblicità]
Fra le contestazioni, oltre a diverse rapine portate a termine proprio da Raffaele Moscato, anche la gambizzazione di un imprenditore, una tentata estorsione a ditte impegnate in lavori pubblici e l’intestazione fittizia di alcune attività commerciali, fra cui un bar, un pub-ristorante ed un noto negozio di abbigliamento sul centralissimo corso Vittorio Emanuele III a Vibo Valentia.
Fra le tentate estorsioni contestate, quella ai danni delle imprese Cooperativa Costruzioni calabrese e Chiaramonti srl, impegnate nei lavori di ripristino dell’officiosità idraulica del fosso Calzone a Vibo Marina. Il 15 settembre 2011 Raffaele Moscato (attuale collaboratore di giustizia e ritenuto l’esecutore materiale) è infatti accusato di aver dato fuoco ad un box adibito ad ufficio dalle due ditte. Mandanti dell’attentato vengono indicati i cugini Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo.
Il 28 marzo 2011, quindi, Raffaele Moscato di Vibo Marina e Michele Silvano Mazzeo di Mileto sono accusati di aver messo a segno una rapina che ha fruttato oltre 130mila euro. Vittima in questo caso la società “Fratelli Corigliano sas”. Secondo le indagini, Moscato si è introdotto nell’ufficio della società, sito in località Aereoporto di Vibo Valentia, utilizzando un casco integrale ed impugnando una pistola calibro 45 che ha poi puntato verso un dipendente intimandogli di consegnare il denaro. Ad accompagnare Moscato ci sarebbe stato Michele Silvano Mazzeo, indicato quale ideatore e promotore della rapina.
Il 28 agosto 2011 Raffaele Moscato ha poi portato a termine altra rapina a Vibo Valentia ai danni di Antonio Gramendola e Leonardo Rubino ai quali sono stati sottratti gioielli per un valore superiore a ventimila euro.
Nell’ottobre successivo (10-10-2011) ulteriore rapina a mano armata contestata a Raffaele Moscato. Ad essere presa di mira è stata questa volta la gioielleria “Dolci Ricordi”, sita su corso Umberto I a Vibo Valentia, con la sottrazione di gioielli per oltre ventimila euro. Il 23 novembre 2011 il futuro collaboratore Raffaele Moscato è accusato di aver compiuto altra rapina ai danni del supermercato Despar di via Don Mellano a Vibo Valentia. In questo caso il “bottino” ammonta a sole 250 euro. Oltre tremila euro, invece, la somma rapinata il 27 novembre 2011 all’esercizio commerciale “Fratelli Nusdeo” di via Vittorio Veneto a Vibo Valentia. Anche in questo caso l’accusa è rivolta al solo Raffaele Moscato.
La pretesa dell’esecuzione di lavori di ristrutturazione nell’abitazione di Rosario Fiorillo, alias “Pulcino”, ad opera dell’imprenditore Domenico Bono costano invece il ferimento di quest’ultimo a colpi di pistola, esplosi al suo indirizzo da Raffaele Moscato il 18 marzo 2011.
L’intestazione fittizia di attività commerciali. Scorrendo i capi d’accusa mossi dalla Dda di Catanzaro nell’ambito dell’inchiesta “Rimpiazzo” contro il clan dei Piscopisani spiccano poi alcune intestazioni fittizie che dimostrano come la consorteria mafiosa di Piscopio – ed in particolare Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo, indicati quali vertici del clan – gestisce rilevanti interessi economici a Vibo Valentia attraverso il controllo di note attività commerciali. Ad iniziare dal negozio di abbigliamento “Fiorillo” ubicato sul centralissimo corso Vittorio Emanuele III a Vibo Valentia, passando per lo storico pub “Pequod” ed il noto American bar nei pressi di piazza Municipio.
Intestazione fittizia di beni è infatti l’accusa mossa a Rosario Fiorillo, alias “Pulcino” (condannato per l’omicidio del boss di Stafanaconi Fortunato Patania) il quale, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale, avrebbe attribuito al fratello Marco Fiorillo, 32 anni, di Piscopio (anche per lui è stato chiesto il rinvio a giudizio), in modo fittizio la proprietà, l’amministrazione e la legale rappresentanza della boutiquea “Fiorillo” sita a Vibo Valentia su corso Vittorio Emanuele III numero 22. Il reato è aggravato dalle finalità mafiose e dall’agevolazione del clan dei Piscopisani.
Intestazione fittizia di beni anche la contestazione per Giovanni Battaglia, 37 anni, di Piscopio, fratello di Rosario Battaglia. Secondo l’accusa, al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale, Giovanni Battaglia avrebbe assunto nel 2010 la titolarità e la gestione dell’esercizio commerciale denominato “Pequod” ovvero il pub ristorante ubicato a Vibo su corso Vittorio Emanuele III in piazza Morelli. Per fare ciò, Giovanni Battaglia sarebbe ricorso, secondo la Dda, a modalità fraudolente consistite nell’occultamento della sua posizione attribuendo fittiziamente il locale a Salvatore Carnovale. Il reato è aggravato anche in questo caso dalla finalità mafiosa di voler agevolare il clan dei Piscopisani. Altra contestazione in relazione al reato di intestazione fittizia di beni viene quindi mossa a Rosario Battaglia (già in carcere poiché condannato all’ergastolo per l’omicidio del boss di Stefanaconi Fortunato Patania), al fratello Giovanni Battaglia ed a Simone Prestanicola, 42 anni, tutti di Piscopio in relazione al noto American bar di Vibo Valentia. In particolare, Rosario e Giovanni Battaglia nel 2010 avrebbero assunto la qualità di titolari e gestori dell’American Bar occultando la loro posizione e facendo apparire Simone Prestanicola quale socio accomandatario della società.
Altra intestazione fittizia di beni quella contestata a Nazzareno Fiorillo, alias “U Tartaru” (ritenuto al vertice del “locale” di ‘ndrangheta di Piscopio) Michele Fiorillo (cl. ’87) e Michele Suppa. I primi due avrebbero attribuito proprio a Suppa la legale rappresentanza della società “Pneus F.N.P. srl” con sede a Vena di Ionadi.
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