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“Rinascita”: l’omicidio di Antonio Arena e l’ingresso dei Mancuso a Vibo

La ricostruzione del collaboratore Bartolomeo Arena sullo scontro fra i vibonesi ed i mafiosi di Limbadi. Il ruolo dei Fiarè, dei Lo Bianco e dei Barba

“Rinascita”: l’omicidio di Antonio Arena e l’ingresso dei Mancuso a Vibo

Svela tanti particolari inediti il nuovo collaboratore di giustizia, Bartolomeo Arena, permettendo agli inquirenti di delineare l’evoluzione della ‘ndrangheta e delle dinamiche criminali in special modo a Vibo Valentia. Dopo l’omicidio di Antonio Servello di Ionadi ad opera del padre di Bartolomeo Arena, a seguito di una sparatoria all’interno dell’Hotel 501 di cui si era reso protagonista lo stesso Servello (fratello del futuro collaboratore di giustizia Angiolino Servello) – posto all’epoca alla guida della zona di Ionadi per volontà di Giuseppe Mancuso, detto “’Mbrogghija” – fra i vibonesi ed il locale di Limbadi è guerra aperta. Illuminante, a tal proposito, il racconto di Bartolomeo Arena. [Continua dopo la pubblicità]

Paolo Lo Bianco

Mio padre fece sparare le serrande a Bongiovanni – dichiara il collaboratore di giustizia –  e per questo fatto la famiglia mafiosa Raso-Albanese di Cittanova si mise nel mezzo per parlare di questa faccenda. Mandarono un’imbasciata a mio padre e quest’ultimo insieme a Carmelo D’Andrea e Paolo Lo Bianco si recarono sullo Zomaro, in Aspromonte, dove Peppe Mancuso (‘Mbrogghija”) avrebbe voluto ucciderli. L’intervento dell’esponente della famiglia Albanese lo impedì in quanto aveva garantito lui per l’incontro”. Quindi la scomparsa di Antonio Arena, padre di Bartolomeo.

Rosario Fiarè

“Mio padre è scomparso nel gennaio del 1985, diciamo che è caduto in una tragedia poiché era odiato da Rosario Fìarè in quanto una volta comandavano i vibonesi a San Gregorio e mio padre aveva litigato con qualcuno di San Gregorio per cui tornò a casa prese il mitra ed si recò nella piazza di San Gregorio  dimostrando a tutti che non aveva paura di nessuno. Mio padre dieci giorni prima della scomparsa si recò insieme al boss Cecè Mammoliti da Giuseppe Mancuso, che era latitante a Piscopio, per fare la, pace, ma in realtà era una pace fittizia, poiché i Mammoliti non erano ben visti dai Mancuso. In quel momento si strinsero la mano e bevvero insieme dello champagne”.

Il mercato di Vibo ed i Fiarè. “Poco dopo Fiarè Nicola e Giofrè Gregorio si presentarono al mercato di Vibo, luogo di riunione degli ‘ndranghetisti, e dissero a mio padre che lo voleva Peppe Mancuso. Lui si è recato con loro all’appuntamento ed è stato ucciso da Peppe Mancuso con un colpo di pistola in testa per poi essere buttato nel fiume Mesima. Giovanni Franzè Stefanaconi mi raccontò questa storia, anche se questo omicidio ed i suoi autori sono noti nell’ambito della ‘ndrangheta di Vibo Valentia, e se ricordo bene questi soggetti all’epoca furono indagati”.

Gli inquirenti sono alla ricerca dei riscontri in ordine alle dichiarazioni di Bartolomeo Arena in ordine all’omicidio del padre. Allo stato nell’inchiesta “Rinascita-Scott” tale fatto di sangue non viene contestato alle persone chiamate in causa dal collaboratore.

Carmelo Lo Bianco

Da quel periodo in poi inizia la vera influenza dei Mancuso sulla città di Vibo Valentia, con il boss Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni”, pronto a divenire il riferimento principale del boss Antonio Mancuso di Limbadi, mentre Vincenzo Barba divenne il riferimento di Giuseppe Mancuso. La società di ‘ndrangheta a Vibo Valentia contonuò tuttavia ad essere retta da Francesco Fortuna, alias “Ciccio Pomodoro”, sino all’omicidio di quest’ultimo avvenuto nel 1988 a Pizzo Calabro.

Antonio Mancuso

“Dopo di ciò, i Mancuso iniziarono ad entrare nella città di Vibo Valentia in maniera ancora più forte, visto che – spiega Bartolomeo Arena – erano tutti intimoriti dall’omicidio di mio padre. Carmelo Lo Bianco e i Barba divennero i servi dei Mancuso. Prima di loro c’era mio padre che riusciva a dire loro dei no. Mancuso Giuseppe, ‘Mbrogghia, era il riferimento di Enzo Barba e Antonio Mancuso, il vecchio, era il riferimento di Carmelo Lo Bianco. Anche dopo queste vicende, a Vibo Valentia è stato mantenuto un Buon Ordine retto da Ciccio Pomodoro che aveva delle doti molto alte. Quando mio padre morì, Ciccio Pomodoro mi venne a trovare e mi rassicurò. Successivamente fu ucciso pure lui”.

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