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Giudici, clan e corruzione: due le “gole profonde” vibonesi

Sono Raffaele Moscato ed Andrea Mantella a svelare complicità insospettabili per “aggiustare” i processi. Nel mirino grossi imprenditori, avvocati e periti

Giudici, clan e corruzione: due le “gole profonde” vibonesi

Ci sono anche due collaboratori di giustizia di Vibo Valentia ad accusare alcuni magistrati del distretto della Corte d’Appello di Catanzaro dinanzi ai pm della Procura di Salerno, funzionalmente competente ad indagare sulle toghe calabresi. Alcuni magistrati accusati dai due collaboratori hanno prestato in passato servizio anche a Vibo Valentia. Le accuse del collaboratore di giustizia Raffaele Moscato (ex killer e poi al vertice insieme a Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo del clan dei Piscopisani) vengono fuori dagli atti dell’inchiesta “Rimpiazzo” contro la consorteria di Piscopio. In particolare, il collaboratore ha svelato che il defunto Davide Fortuna (ucciso sulla spiaggia di Vibo Marina dal clan Patania di Stefanaconi nel luglio del 2012) sarebbe stato in grado di sapere in anteprima di alcune indagini nei confronti del clan anche grazie ai legami di un proprio stretto congiunto con un giudice. Accuse, naturalmente, tutte da dimostrare. [Continua dopo la pubblicità]

Il finanziere e le domande sul giudice. Altre accuse nei confronti di altro magistrato si ricavano invece dagli atti dell’inchiesta “Rinascita-Scott”. In questo caso ad aver reso dichiarazioni su un giudice è il collaboratore di giustizia, Andrea Mantella, i cui verbali sono allo stato secretati. Non sono secretati però altri atti dell’inchiesta “Rinascita-Scott” che hanno portato alla contestazione del reato di concorso esterno in associazione mafiosa nei confronti di Michele Marinaro, 51 anni, di Girifalco. Maresciallo della Guardia di finanza in servizio alla Dia (Direzione Investigativa antimafia) di Catanzaro e successivamente alle dipendenze della Presidenza del Consiglio dei ministri a Roma, secondo l’accusa avrebbe fornito in modo sistematico ai vertici dei clan – per il tramite dell’avvocato Giancarlo Pittelli (arrestato) – notizie sulle attività investigative in atto nei confronti degli esponenti della ‘ndrangheta vibonese.

Marinaro è quindi accusato di aver commesso anche “specifiche rivelazioni del segreto d’ufficio ovvero raccolto, indebitamente e fuori verbale, informazioni dai collaboratori di giustizia, la cui escussione gli era stata delegata dall’autorità giudiziaria, in maniera esorbitante rispetto alla delega ricevuta ed al contesto investigativo in cui era stata conferita”.

Il 21 giugno scorso è stato lo stesso Andrea Mantella a riferire che l’interrogatorio del 14 dicembre 2016 era stato condotto da due ufficiali della Guardia di Finanza di cui ha fornito la descrizione fisica spiegando che gli stessi ufficiali hanno continuato a fargli domande anche successivamente alla conclusione dell’atto, relativamente a vari soggetti, tra cui – fra l’altro – anche nei confronti dello stesso magistrato accusato da Mantella in altro interrogatorio. Così come domande fuori dal verbale sarebbero state fatte dai due finanzieri a Mantella – per come riferito dal collaboratore ai magistrati della Dda di Catanzaro – pure su avvocati e imprenditori, alcuni dei quali mai menzionati dallo stesso Mantella nelle sue dichiarazioni precedenti.

Le accuse di Mantella a Petrini. Interrogato nell’aprile dello scorso anno dalla Dda di Salerno, Andrea Mantella ha dichiarato che era possibile arrivare al giudice della Corte d’Appello di Catanzaro, Marco Petrini, al fine di “aggiustare” alcuni processi. Dichiarazioni che potrebbero trovare clamorosa conferma dallo stesso magistrato arrestato che ha iniziato a svelare il “sistema” di corruzione in parte della magistratura del distretto di Catanzaro. Denaro, regalie e viaggi sarebbero stati donati dai mafiosi al giudice – secondo Andrea Mantella – per ottenere provvedimenti giudiziari favorevoli nei processi d’Appello.

Andrea Mantella

Mantella e gli omicidi confessati. Sono in tutto 8 (otto) gli omicidi ai quali Andrea Mantella – ex elemento di spicco del clan Lo Bianco di Vibo col tempo a capo di un autonomo gruppo – ha confessato di aver preso parte in prima persona di cui tre commessi quando era ancora minorenne. Capacità criminali che l’avrebbero fatto entrare nelle grazie del boss Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni” (deceduto nel marzo 2014 in carcere a Parma) e che gli avrebbero fatto conquistare “sul campo” la dote di ‘ndrangheta dello “sgarrista”. Un percorso criminale iniziato insieme al suo braccio-destro, Francesco Scrugli, ucciso nel marzo del 2012 dal clan Patania in quanto ritenuto, insieme al clan dei Piscopisani, fra i responsabili della morte del boss Fortunato Patania (ucciso nel settembre del 2011 nella sua stazione di carburanti nella Valle del Mesima). 

L’omicidio Manco e il processo “aggiustato”. E’ il 30 novembre 1992 quando Andrea Mantella e Francesco Scrugli uccidono Nando Manco e feriscono il fratello Mario Manco all’interno del loro maneggio ubicato nei pressi del castello di Vibo. Un fatto di sangue per il quale Andrea Mantella e Francesco Scrugli – accusati di aver sparato per non pagare quanto richiestogli dai Manco per aver tenuto un cavallo nel loro maneggio – sono stati condannati in primo grado a 14 anni con la premeditazione ed a 12 anni in appello senza premeditazione. In relazione a tale omicidio, Andrea Mantella ha già dichiarato al Tribunale di Vibo Valentia, nell’udienza dell’8 marzo 2018, che l’esame autoptico sul cadavere di Nando Manco sarebbe stato “falsato” con la complicità “del medico legale dott. Luciano”. Ai magistrati di Salerno, secondo quanto si evince dal verbale di interrogatorio del 4 aprile scorso, Andrea Mantella ha quindi aggiunto che alcuni suoi familiari avrebbero pagato una somma di denaro ad un giudice per “aggiustare” il processo. A consegnare il denaro al magistrato sarebbe stato un avvocato. La proposta avanzata dal giudice era la seguente: o l’assoluzione per Andrea Mantella ma con una condanna pesante per il concorrente nel reato (ovvero Francesco Scrugli) oppure condannare entrambi a 12 anni. Mantella optò per tale ultima soluzione.

Toghe e avvocati nel mirino di Mantella. Del sistema per “aggiustare” i processi a Catanzaro – ovvero sborsare enormi somme di denaro – si sarebbero avvalsi i più potenti clan della ‘ndrangheta: dalle cosche del Vibonese sino ai Grande Aracri di Cutro ed ai Giampà di Lamezia Terme. Lo stesso cognato di Andrea Mantella, ovvero Pasquale Giampà, a detta del collaboratore sarebbe stato socio occulto con un magistrato nel settore dell’edilizia. Il “sistema” prevedeva l’avvicinamento del magistrato attraverso avvocati oppure grossi imprenditori.

I giudici e gli imprenditori. E’ proprio tale filone di indagine della Procura di Salerno che potrebbe riservare le “sorprese” più clamorose. Ad Andrea Mantella sono state infatti chieste informazioni – le cui risposte sono al momento coperte dal segreto investigativo – su diversi magistrati.  Ad indagare – con sette distinti fascicoli d’inchiesta – sono i pm Silvio Marco Guarriello e Vincenzo Senatore che avrebbero scoperchiato anche gli interessi da parte di imprenditori calabresi di spicco sui quali Andrea Mantella avrebbe fornito dichiarazioni che potrebbero rivelarsi davvero importanti.

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