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Narcotraffico: operazione “Costa dei Monaci”, Cassazione respinge ricorso di Carmelo Papalia

Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso del cognato dei Mammoliti di Castellace, titolare di un villaggio turistico a Parghelia

Narcotraffico: operazione “Costa dei Monaci”, Cassazione respinge ricorso di Carmelo Papalia
Veduta aerea su Parghelia

La sesta sezione penale della Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di Carmelo Papalia, 75 anni, originario di Oppido Mamertina ma residente a Parghelia condannato il 13 aprile del 2016 dalla Corte d’Appello di Catanzaro per narcotraffico nell’ambito dell’operazione “Costa dei Monaci” che il 3 maggio del 2005, dopo tre anni di indagini, portò a 119 arresti emessi dal gip di Milano, Maurizio Grigo, su richiesta del pm della Dda di Milano, Mario Venditti. Un blitz scattato contemporaneamente in 14 province a opera dei carabinieri che, attraverso distinti filoni di indagine poi riuniti in un’unica inchiesta, erano arrivati a localizzare nel residence “Costa dei Monaci” di Parghelia, di proprietà di Carmelo Papalia, il luogo in cui si sarebbero svolti i summit per pianificare strategie e accordi di un lucroso traffico di cocaina.

Venuta meno la competenza della Distrettuale antimafia di Milano, il fascicolo su Carmelo Papalia era approdato alla Procura di Vibo. Secondo l’accusa, Papalia – cognato dei fratelli Saverio e Antonino Mammoliti, da sempre ai vertici dell’omonima cosca di Castellace e dalla fine degli anni ’90 “dissociati” dalla ‘ndrangheta – avrebbe intrattenuto rapporti illeciti, finalizzati alla cessione di consistenti quantitativi di cocaina, con Francesco Prestia, nipote del boss Franco Coco Trovato, originario di Marcedusa (Cz) divenuto l’indiscusso “capo società” della ‘ndrangheta in provincia di Lecco e legato a sua volta ai De Stefano di Reggio Calabria.
Ad avviso degli inquirenti, a rifornire di cocaina il “cartello” facente capo ai Coco Trovato sarebbero stati appartenenti alla cosca Mammoliti-Rugolo di Castellace di Oppido Mamertina, attraverso la mediazione dei fratelli Carmelo e Girolamo Papalia che avrebbero ceduto la sostanza stupefacente al prezzo di 50 milioni di lire al chilo.

In primo grado il Tribunale di Vibo Valentia aveva condannato Carmelo Papalia alla pena di 8 anni di reclusione. In Appello la pena gli era stata poi ridotta per via del riconoscimento delle attenuanti generiche, mentre per il reato la sentenza è stata confermata.

Nelle motivazioni della Cassazione i giudici spiegano che il ricorso di Carmelo Papalia è da ritenersi “inammissibile” in quanto la memoria difensiva è stata depositata in ritardo ed inoltre le censure si risolvono nella contestazione della erronea interpretazione delle conversazioni intercettate. Argomentazioni già affrontate dai giudici di merito di primo e secondo grado, con impossibilità quindi per la Cassazione di riaffrontare la medesima questione in assenza di travisamento. Per i giudici della Suprema Corte, inoltre, Carmelo Papalia avrebbe avuto un ruolo direttivo nel narcotraffico, tanto da essere indicato dagli inquirenti come “colui che dirige tutto e spende il suo nome e il suo prestigio per favorire la conclusione dell’affare offrendosi come cofinanziatore”. Il fratello Girolamo Papalia avrebbe avuto invece un ruolo “meramente operativo ed esecutivo”.

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