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“Rinascita”: Bartolomeo Arena ed il locale di ‘ndrangheta di Vibo

Il collaboratore ha svelato agli investigatori i legami mafiosi con la provincia di Reggio Calabria ed il ruolo dei Lo Bianco-Barba, dei Pardea e dei Camillò

“Rinascita”: Bartolomeo Arena ed il locale di ‘ndrangheta di Vibo
Nicola Gratteri in conferenza stampa per Rinascita-Scott

Spiega nel dettaglio il funzionamento della ‘ndrangheta a Vibo Valentia, il nuovo collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena che ha svelato ai magistrati della Dda di Catanzaro – guidati dal procuratore Nicola Gratteri – ed ai carabinieri anche diversi particolari inediti sui contrasti, le gerarchie, le alleanze e gli affari di boss e affiliati. Dichiarazioni recentissime, confluite nell’operazione “Rinascita-Scott” e che aiutano a fare luce dall’interno sulle dinamiche criminali del Vibonese, e non solo, degli ultimi anni.

“La dote della Santa – ha spiegato Arena agli investigatori –  solitamente è di passaggio ad eccezione di alcuni casi. Esistono però sette santisti in Calabria che mantengono tale dote a vita. Si tratta di una carica speciale. Dopo la Santa viene conferito il Vangelo, poi il Trequartino, il Quartino ed il Padrino. Tali ultime due doti non mi sono state conferite, ma so della loro esistenza. Poi ci sono doti speciali ed ho sentito nominare come Bartolo, Conte Ugolino ed altre. Si dice che in tutto siano 23. [Continua dopo la pubblicità]

Antonio Pardea e Bartolomeo Arena

A Vibo Valentia – continua il collaboratore di giustizia ­– c’è un Buon Ordine, che non è un locale di ‘ndrangheta riconosciuto.Non fa parte quindi di una Provincia dove invece c’è un vincolo solidaristico tra le consorterie molto più rigido. Se entra in conflitto una consorteria le altre sono tenute a fornire appoggio”. Quindi il riferimento ad Antonio Pardea, 34 anni, di Vibo Valentia (arrestato nell’operazione “Rinascita-Scott”), ritenuto vicinissimo a Bartolomeo Arena, e ad Emilio Bartolotta, 42 anni, di Stefanaconi, condannato in via definitiva a 24 anni di reclusione per l’omicidio dell’assicuratore e segretario cittadino dell’Udc Michele Penna.

Emilio Bartolotta

“Durante la carcerazione, Antonio Pardea è cresciuto molto a livello ‘ndranghetistico. L’ha portato avanti Emilio Bartolotta – ha svelato Bartolomeo Arena – il quale ha una dote molto elevata ed addirittura in passato ha portato avanti Domenico Bonavota in quanto aveva stretto forti legami con i Grande Aracri” di Cutro.

Dopo la nascita nel 2012 del nuovo “locale” di ‘ndrangheta di Vibo Valentia – successivo agli arresti dell’operazione “Nuova Alba” del febbraio 2007 – l’ex gruppo di Andrea Mantella si è così staccato dalla cosca madre dei Lo Bianco unitamente ad altra articolazione del clan facente capo alla famiglia Pugliese, detta Cassarola. Proprio del gruppo di Andrea Mantella, denominato anche “ ’ndrina Pardea, detti Ranisi” avrebbe fatto parte Bartolomeo Arena.

Vincenzo Barba

“Una volta separatici dai Lo Bianco-Barba, coloro i quali erano stati battezzati da mio zio – il quale rispondeva a Polsi – sono diventati gli unici riconosciuti dalla struttura centrale della ’ndrangheta di San Luca. Secondo Bartolomeo Arena,i Lo Bianco-Barba seguivano un ordine diverso e “non erano riconosciuti dalla ‘ndrangheta di Polsi”, vale a dire dalla ‘ndrangheta di San Luca, da sempre roccaforte e “custode” delle regole della criminalità organizzata calabrese. I Lo Bianco- Barba, ad avviso del collaboratore, rispondevano direttamente ai Mancuso.

Raffaele Franzè

Ulteriori elementi sull’unitarietà della ‘ndrangheta e la riconducibilità  al “Crimine” di Polsi venivano poi riferiti da Bartolomeo Arena nel verbale del 5 novembre scorso nel corso del quale il collaboratore specificava che, seppur a Vibo Valentia non vi era un locale di ‘ndrangheta riconosciuto, sia Domenico Camillò (cl. ’41), zio dello stesso Bartolomeo Arena, sia Raffaele Franzè detto “Lo Svizzero” (deceduto lo scorso anno all’età di 74 anni e condannato quale “contabile” del clan Lo Bianco) erano entrambi riconosciuti a Polsi (San Luca) quali ‘ndranghetisti di alto rango. Dal “Crimine” di Polsi era anche riconosciuto l’istituto del “Buon Ordine” che governa in maniera mafiosa la città di Vibo Valentia.

“La differenza fra il Buon Ordine o locale non riconosciuto ed il locale riconosciuto non è tantissima – ha spiegato ancora Bartolomeo Arena – perché si tratta di due possibili momenti della vicenda criminale di un dato territorio. Il mancato riconoscimento da Polsi comportava  solo una limitazione nei rapporti con gli altri Locali di altri territori, ma si avevano anche meno obblighi dal punto di vista dell’aiuto che si poteva richiedere, anche di tipo economico. Pertanto noi rispondevamo comunque alle medesime regole ed alla stessa linea di potere della ‘ndrangheta reggina. Un locale può essere chiuso o sospeso oppure non riconosciuto quando c’è una guerra interna in atto e sicuramente la situazione instabile che c’era all’interno del locale di Vibo Valentia non ha giocato a favore del suo riconoscimento che in ogni caso non avevamo ancora chiesto.

Domenico Camillò ed i legami con Rosarno. Ancora più esplicito Bartolomeo Arena quando descrive la figura, il ruolo ed il grado mafioso che viene attribuito allo zio Domenico Camillò, pure lui arrestato nell’operazione “Rinascita-Scott”.

Domenico Oppedisano

“Domenico Camillò, detto Mangano, si è cresciuto nella famiglia Pardea – ha raccontato il collaboratore – poiché sua mamma si è risposata con un Pardea. Si tratta del massimo esponente della ‘ndrangheta della provincia di Vibo Valentia degli ultimi trenta anni ed attualmente nessuno in provincia ha una dote pari o superiore alla sua. E’ amico fraterno di Giuseppe Bellocco di Rosarno, sin dai tempi della latitanza di quest’ultimo. Inoltre Domenico Camillò è conosciuto a Polsi e quindi da tutti i massimi esponenti della ‘ndrangheta. Camillò si rapportava per la risoluzione dei problemi con don Mico Oppedisano di Rosarno”.

Antonino Pesce “Testuni”

Bartolomeo Arena conferma poi il ruolo di Domenico Oppedisano, già emerso nell’operazione “Crimine” del 2010 condotta dalla Dda di Reggio Calabria, e spiega il fermo proposito del boss Antonino Pesce nel volere proprio per Oppedisano la massima carica di “custode delle regole” della ‘ndrangheta in alternativa ai Pelle di San Luca.

“Quanto alla figura di Domenico Oppedisano, quest’ultimo era il Crimine di tutta la ‘ndrangheta in quanto Pesce, detto Testuni – ricorda Bartolomeo Arena – pretese il riconoscimento di tale carica per Rosarno, minacciando gli altri massimi esponenti della ‘ndrangheta – quali i Pelle che volevano quella carica – di  staccarsi dal Crimine alla testa di altri ventidue locali. Nonostante ciò, a Rosarno comandavano – quanto a forza operativa ed economica – più i Pesce che il predetto Oppedisano. Tutto questo – conclude il collaboratore Arena – l’ho appreso da Francesco Antonio Pardea”.

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