L’omicidio Lo Bianco, il ruolo di Ferrante e la sete di vendetta del clan – Video
I retroscena sulla sparizione di Nicola il figlio di Carmelo “Sicarro”, le rivelazioni di due pentiti sui debiti di droga e le “carrette” per eliminare il giovane
Affari di droga. E debiti non pagati. E “carrette”, cioè raggiri inconfessabili che, oggi, grazie all’operazione “Rinascita-Scott” consentono di fare luce su omicidi e sparizioni eccellenti che hanno segnato le dinamiche criminali nella città di Vibo a metà degli anni ’90.
Sono due i pentiti che aprono uno squarcio sul delitto di Nicola lo Bianco, scomparso il 2 maggio del ’97. Figlio di Carmelo Lo Bianco “Sicarro”, omonimo cugino dello storico boss “Piccinni”, il 28enne avrebbe pagato con la vita la mancata restituzione di un imponente debito di droga: una partita fornita, secondo Giuseppe Scriva, dagli Alvaro ma, in base al recentissimo racconto di Andrea Mantella, di proprietà dei Campisi di Nicotera e, con loro, dei vertici del clan Mancuso.
La novità vera riguarda il coinvolgimento nel delitto di Gianfranco Ferrante. L’uomo, secondo Mantella, sarebbe stato il gancio utilizzato dai suoi killer per fare uscire Nicola lo Bianco allo scoperto. Con Ferrante si sarebbe incontrato a due passi della biblioteca comunale, prima che un commando lo prelevasse con la forza per scaraventarlo all’interno di un’auto e condurlo verso il suo amaro destino.
Un particolare appreso da Mantella in carcere, da uomini di Piscopio, e conosciuto anche dagli amici e sodali di Lo Bianco stesso: Leoluca “U rozzo” e Antonio Grillo, inteso Totò Mazzeo, avrebbero infatti meditato la vendetta uccidendo proprio Ferrante.
Un delitto non consumato. Perché Ferrante avrebbe goduto delle protezioni alte dei Mancuso e perché il padre dello sparito, Carmelo Lo Bianco, non si sarebbe mai persuaso del coinvolgimento di Ferrante nel delitto, che considerava come un figlio. Anche in questo caso solo “carrette” o fatti veri e riscontrabili? Soltanto il prosieguo delle indagini dirà…