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Processo “Purgatorio”: conclusa a Vibo la deposizione di Rodonò, ex vice capo della Mobile

I “contrasti” fra alcuni magistrati, le frequentazioni dei locali, i rapporti fra gli investigatori e le indagini con i colleghi bolognesi. Dichiarazioni spontanee a fine udienza anche dell’avvocato Galati

Processo “Purgatorio”: conclusa a Vibo la deposizione di Rodonò, ex vice capo della Mobile

Riprenderà il prossimo 17 marzo e poi il 24 dello stesso mese il processo in corso dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia e nato dall’operazione “Purgatorio” che vede imputati gli ex vertici della Squadra Mobile di Vibo Valentia, Maurizio Lento ed Emanuele Rodonò e l’avvocato Galati. L’udienza di venerdì scorso – tenuta nella stessa aula del vecchio palazzo di giustizia su corso Umberto dove un’ora dopo è stata data lettura da parte di altro Collegio della sentenza del processo Black money – è servita per concludere l’esame dell’ex vice capo della Squadra Mobile di Vibo Valentia, Emanuele Rodonò, sotto processo per concorso esterno in associazione mafiosa e rivelazione di segreti d’ufficio. Rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, e della difesa rappresentata dagli avvocati Armando Veneto e Antonella Freno, Emanuele Rodonò ha fornito alcuni chiarimenti in ordine ad una telefonata con l’avvocato Galati nel giugno del 2011 in cui la spiegazione di una frase è stata differente nel corso del primo interrogatorio davanti al pm subito dopo l’arresto.

La conversazione fa riferimento ad un blitz della Squadra Mobile di Bologna, concordato con quello della Squadra Mobile di Vibo, che ha portato agli arresti a Monzuno, nel Bolognese, di tre vibonesi, tra cui Sasha Fortuna e la moglie, per la detenzione di un fucile mitragliatore. Si tratta dello stesso Sasha Fortuna, già attenzionato dalla Squadra Mobile di Vibo, fratello di Davide Fortuna ucciso nel luglio del 2012 in spiaggia a Vibo Marina nell’ambito della faida fra i Patania di Stefanaconi ed i Piscopisani. La notizia del coinvolgimento della Squadra Mobile di Vibo Valentia non venne all’epoca divulgata agli organi di informazione – che infatti l’1 luglio del 2011 riferirono esclusivamente degli arresti ad opera della Squadra Mobile di Bologna – proprio per non svelare agli indagati l’esistenza di una più rilevante inchiesta sul clan dei Piscopisani. La mattina del blitz nel Bolognese si registrò una telefonata fra Emanuele Rodonò (in foto) e l’avvocato Galati in cui il poliziotto avrebbe detto al legale di andare “fiero dell’intuito investigativo e della strategia militare del mio paesano”. Con l’espressione “mio paesano”, il dottore Rodonò ha spiegato in aula che intendeva riferirsi al suo capo Maurizio Lento. Nelle dichiarazioni rese a suo tempo al pubblico ministero, su tale specifica circostanza Emanuele Rodonò non aveva però mai fatto il nome di Lento e da qui le contestazioni del pm Annamaria Frustaci con la richiesta al Tribunale di ascoltare il file audio della conversazione.

Rodonò, Mantella ed i collaboratori di giustizia. In ordine alla conoscenza di Andrea Mantella, Emanuele Rodonò ha spiegato di averlo conosciuto, investigativamente parlando, nell’ambito delle indagini che hanno portato al suo arresto e poi alla sua condanna per associazione mafiosa nell’inchiesta “Goodfellas” scattata nel maggio del 2011 ad opera proprio della Squadra Mobile di Vibo Valentia. Rodonò ha altresì affermato di non ricordare di aver visto Andrea Mantella recarsi nei locali della Questura di Vibo e di aver preso a verbale nello stesso periodo il collaboratore di giustizia Peter Cako nell’ambito dell’inchiesta “Peter Pan” e poi il collaboratore Enzo Taverniti, alias “Il Cinghiale”, nell’ambito delle operazioni “Luce nei boschi” e “Ghost”.

I “contrasti” fra magistrati e le frequentazioni. Rispondendo ad una domanda del pm Frustaci in ordine alle eventuali frequentazioni del poliziotto con persone indagate all’infuori dell’avvocato Galati, Emanuele Rodonò ha raccontato di aver “frequentato il dirigente della polizia Fabio Ciccimarra, in servizio all’epoca a Cosenza ed imputato all’epoca in un procedimento”, mentre in ordine ad alcuni “contrasti” o modi di vedere diversamente le cose, lo stesso Rodonò ha ricordato in aula l’esistenza di forti divergenze nel 2007 fra l’allora procuratore capo di Vibo, Alfredo Laudonio, ed il pm Fabrizio Garofalo per la gestione delle indagini sul decesso della 16enne Federica Monteleone, così come ha riferito di aver percepito altri “contrasti fra i giudici Cristina De Luca e Manuela Gallo che non nutrivano particolari simpatie nei confronti del giudice Piscitelli”. Tutti magistrati all’epoca in servizio al Tribunale di Vibo Valentia. Il pm ha poi chiesto ad Emanuele Rodonò se gli fosse capitato nella sua carriera di poliziotto di recarsi a mangiare altre volte, all’infuori del caso del ristorante Filippo’s di Vibo, in locali in cui il titolare risultava parte offesa in un’inchiesta che stava seguendo lo stesso ex dirigente della Mobile di Vibo (il titolare del locale, Ivano Daffinà, aveva denunciato nel 2011 proprio all’allora vice capo della Squadra Mobile il ritrovamento di una bottiglia con liquido infiammabile dinanzi al ristorante).

“Non ricordo” è stata la risposta di Rodonò. Precisa quindi la successiva domanda del pm Annamaria Frustaci: “Sa se magistrati titolari di procedimenti in cui le parti offese erano i titolari di ristoranti si recassero per caso a pranzare negli stessi locali”?. Questa la risposta di Emanuele Rodonò: “Ricordo di aver visto anche il procuratore di Vibo Spagnuolo mangiare da Filippo’s”. “Ma è a conoscenza – ha di rimando chiesto il pm – dell’esistenza di conflitti fra magistrati che sono sfociati in fatti di penale rilevanza?”. Rodonò: “Di penale rilevanza non ne conosco”.

L’udienza è poi proseguita su altre circostanze, come la mancata conoscenza per ragioni investigative del boss di Limbadi Luigi Mancuso (in foto). “All’epoca Mancuso era detenuto – ha spiegato Rodonò – ed io non ero alla sezione criminalità organizzata della Squadra Mobile ma alla sezione narcotici. Non mi risulta che durante la mia permanenza a Vibo – ha aggiunto l’imputato – l’allora capo della Squadra Mobile di Vibo, Rodolfo Ruperti, abbia dato a noi colleghi di Vibo delle direttive per indirizzare le indagini sul clan Mancuso. Ricordo inoltre che capitava spesso che accompagnassi l’ispettore Carmelo Pronestì o l’ispettore Condoleo per le notifiche da fare nei confronti di alcuni personaggi di spicco della criminalità che avevo così modo di vedere da vicino. E’ capitato con Carmelo Lo Bianco del ’32 e con Franco Barba”.

Processo “Purgatorio”: la deposizione dell’ex vice capo della Mobile di Vibo Emanuele Rodonò

Infine le domande poste ad Emanuele Rodonò direttamente dal presidente del Tribunale collegiale, Alberto Filardo. “Dottore Rodonò – ha domandato il giudice – lei ha chiesto informazioni all’allora questore di Vibo, Filippo Nicastro, sulla realtà vibonese dove stava andando a prestare servizio?” Questa la risposta: “In quel periodo avevo problemi familiari e quindi non mi interessava la sede dove andavo a prestare servizio, non ho chiesto informazioni perché Nicastro voleva una mia disponibilità immediata al trasferimento perché c’era vacante il posto di vice dirigente della Squadra Mobile”. Sempre su domanda del presidente del Tribunale, l’imputato ha anche chiarito di aver sempre pagato ogni pranzo o cena al ristorante Filippos e che “altrettanto hanno sempre fatto i magistrati” con i quali era solito recarsi nel locale.

Prima del rinvio dell’udienza, a rendere dichiarazioni spontanee è stato l’avvocato Antonio Galati il quale, in riferimento alle persone dalle quali avrebbe appreso che il Tribunale fallimentare di Vibo (giudice estensore Fabio Regolo) aveva affidato degli incarichi professionali e di consulenza ad uno studio di commercialisti di Milano dove lavorava il fratello del giudice Regolo, ovvero il dott. Paolo Regolo, ha affermato di aver appreso della circostanza dall’imprenditore Mimmo D’Urzo, interessato all’epoca ad una procedura fallimentare. “Di tale circostanza – ha aggiunto Galati – ne ho poi discusso con i colleghi avvocati Agostino Caridà, Antonello Fuscà e Pietro Chiappalone, ma si trattava di notizie di dominio pubblico e per quanto mi riguarda non mi occupavo di procedure fallimentari”.

Prossima del processo il 17 marzo.

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