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‘Ndrangheta: bomba per faida fra clan nel Vibonese, Cassazione conferma condanne

Due giovani responsabili per la detenzione di un ordigno esplosivo di due chili e mezzo che doveva servire per colpire il futuro pentito Raffaele Moscato

‘Ndrangheta: bomba per faida fra clan nel Vibonese, Cassazione conferma condanne

Confermate dalla Suprema Corte di Cassazione le condanne emesse il 28 gennaio 2016 dalla Corte d’Appello di Catanzaro nei confronti di Rinaldo Loielo, 26 anni, di Ariola di Gerocarne e Filippo (in foto in basso) Pagano, pure lui 26 anni, di Soriano Calabro, accusati di aver detenuto un potente ordigno esplosivo ritrovato dalla polizia il 23 febbraio 2013 nell’auto con a bordo i due giovani fermati in località “Serricella” del comune di Rosarno. Per loro una condanna definitiva alla pena di 8 anni di reclusione a testa.

Erano stati gli stessi Loielo e Pagano, alla richiesta dei documenti, ad avvertire i poliziotti del Commissariato di Gioia Tauro che nel bagagliaio avrebbero trovato una bomba, disinnescata poi dagli artificieri arrivati da Reggio Calabria.  In primo grado, al termine del processo con rito abbreviato, Rinaldo Loielo e Filippo Pagano erano stati condannati alla pena di 5 anni di reclusione a testa. In Appello, quindi, la pena è stata ancora più pesante: 8 anni di reclusione a testa.

La bomba, pesante oltre due chili e mezzo e capace di far saltare un intero palazzo ed innescabile a distanza con un radiocomando, sarebbe stata ceduta a Rinaldo Loielo dal boss Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni”, 56 anni, di Nicotera Marina, allo scopo di alimentare lo scontro armato tra i Loielo ed i clan Emanuele e Ciconte, attivi nelle PreSerre vibonesi. Per la detenzione dell’ordigno esplosivo, Pantaleone Mancuso è stato condannato dal Tribunale collegale di Vibo Valentia alla pena di 6 anni ed 8 mesi. 

Rinaldo Loielo è figlio di Giuseppe Loielo, assassinato all’età di 46 anni insieme al fratello Vincenzo, 44 anni, nella cosiddetta “strage di Ariola”. Il fatto di sangue risale all’aprile del 2002. Secondo gli inquirenti,  la strage fu voluta dalla cosca al cui vertice vi sarebbe stato Bruno Emanuele, aiutato nell’agguato dal boss di Cassano allo Ionio, Tonino Forastefano, ora collaboratore di giustizia.

Le indagini avrebbero permesso di appurare che la bomba detenuta da Rilado Loielo e Filippo Pagano (ceduta loro dal boss Pantaleone Mancuso) sarebbe servita per colpire Raffaele Moscato, esponente del clan di Piscopio, frazione di Vibo Valentia, contrapposto al clan Patania di Stefanaconi, sempre nel Vibonese, alleati dei Mancuso di Limbadi e dei Loielo di Ariola di Gerocarne.

Da uno dei colloqui intercettati in un bar di Nicotera Marina, ritenuto la “base operativa” dell’articolazione del clan Mancuso facente capo al boss Pantaleone Mancuso (Scarpuni), sarebbe emerso il proposito della collocazione nottetempo dell’ordigno esplosivo rinvenuto sull’auto di Loielo e Pagano, all’interno del veicolo in uso alla vittima designata, Raffaele Moscato, all’epoca latitante ed ora collaboratore di giustizia, che doveva saltare in aria attraverso l’ausilio di un telecomando a distanza. Moscato, ritenuto organico al clan di Piscopio, frazione di Vibo, sarebbe stato un obbiettivo dei Loielo in quanto cugino degli Idà di Gerocarne, a loro volta questi alleati con il clan delle Pre Serre vibonesi degli Emanuele che è contrapposto agli stessi Loielo. A far da tramite fra Pantaleone Mancuso e Rinaldo Loielo, specie dopo l’arresto di quest’ultimo nel febbraio scorso, sarebbe stato un uomo di Tropea.

 

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