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Autobomba di Limbadi, Comune e Regione non ammesse parti civili

La Corte d’Assise ha rigettato la loro richiesta perché avanzata oltre i termini di legge. Contro i Mancuso-Di Grillo accusati dell’omicidio di Matteo Vinci restano da soli i coniugi Vinci-Scarpulla

Autobomba di Limbadi, Comune e Regione non ammesse parti civili
L'autobomba di Limbadi e nel riquadro Matteo Vinci
Il presidente della Regione Mario Oliverio

Richiesta di costituzione di parte civile fuori i termini stabiliti dalla legge e per questo rigettata. Questa la decisione della Corte d’Assise di Catanzaro nel processo per l’autobomba di Limbadi costata la vita al biologo Matteo Vinci ed il ferimento del padre Francesco. I giudici hanno escluso la richiesta di costituzione di parte civile sia della Regione Calabria, quanto del Comune di Limbadi. Il processo era infatti già stato aperto il 17 settembre scorso ed in tale data sia la Regione Calabria che il Comune di Limbadi erano assenti. Le questioni preliminari, quindi, erano già state superate dalla Corte e da qui l’inammissibilità delle due richieste. La Corte, nell’udienza di stamane, ha quindi ammesso le prove richieste dalla pubblica accusa, rappresentata dalla Dda di Catanzaro, e dai difensori degli imputati, rinviando il processo al 30 gennaio prossimo per l’escussione in aula del primo teste dell’accusa: il maggiore dei carabinieri Valerio Palmieri, a capo del Nucleo Investigativo dei carabinieri di Vibo Valentia. Alla richiesta di costituzione di parti civili da parte del Comune di Limbadi e della Regione Calabria si sono opposti in aula – con specifiche argomentazioni giuridiche tese a sottolineare la tardività della richiesta – gli avvocati Francesco Capria, Fabrizio Costarella e Bruno Vallelunga, quest’ultimo in sostituzione dell’avvocato Giovanni Vecchio. [Continua dopo la pubblicità]

Il Comune di Limbadi

L’autobomba costata la vita a Matteo Vinci risale al 9 aprile 2018. Il 17 settembre scorso, quindi, l’assenza di richieste di costituzioni di parti civili da parte di enti ed associazioni aveva fatto rumore anche a seguito delle dure prese di posizione di Sara Scarpulla (madre di Matteo Vinci) e del suo avvocato Giuseppe De Pace che avevano lamentato di essere stati lasciati da soli ad affrontare un processo che vede la famiglia Vinci-Scarpulla parte lesa contro i Mancuso-Di Grillo.

Il Comune di Limbadi – gestito da una terna commissariale per via dello scioglimento degli organi elettivi dell’ente per infiltrazioni mafiose – il 2 ottobre scorso aveva quindi deliberato la costituzione di parte civile giustificando la mancata presenza all’apertura del processo con il fatto “dell’assoluta assenza di elementi informativi e di conoscenza circa l’avvio del procedimento a carico degli imputati”. Il Comune aveva così conferito mandato all’avvocato Giulio Ceravolo ad intervenire nell’udienza successiva fissata per il 14 ottobre (poi non tenuta per impedimento legittimo di un imputato a presenziare). Anche la Regione Calabria, visto il clamore suscitato dalla mancanza di una sua richiesta di costituzione di parte civile in un processo per un fatto così eclatante a livello nazionale ed in cui viene contestata agli imputati l’aggravante del metodo mafioso, aveva cercato in corsa con il presidente Mario Oliverio di correre “ai ripari” per evitare “figuracce” e richiedere quindi la costituzione di parte civile. A sollecitare la Regione Calabria in tal senso, anche il consigliere regionale – nonché presidente della Commissione regionale antimafia, Arturo Bova – ma sempre dopo l’avvenuta celebrazione della prima udienza del processo, quando cioè la legge non consente più la costituzione di parte civile. Una brutta figura, insomma, sia per la Regione Calabria, sia per il Comune di Limbadi che – pur non essendo stati individuati dalla Procura quali parti lese nella richiesta di rinvio giudizio – avrebbero potuto ugualmente avanzare la richiesta di costituzione di parte civile sia durante la fase dell’udienza preliminare, sia ad apertura del processo. Fasi processuali ampiamente preannunciate per tempo e con grande risalto dalla stampa.

Sotto processo si trovano: Rosaria Mancuso, 64 anni, il marito Domenico Di Grillo, 72 anni, Lucia Di Grillo, 30 anni (figlia dei primi due) ed il marito Vito Barbara, 28 anni, Rosina Di Grillo, 38 anni (sorella di Lucia), tutti di Limbadi. Contestato l’omicidio aggravato dalle modalità mafiose di Matteo Vinci ed il tentato omicidio del padre Francesco Vinci, nell’occasione  rimasto gravemente ferito a seguito dello scoppio di un’autobomba. Contestazioni anche per il tentato omicidio del solo Francesco Vinci (pestato brutalmente nell’ottobre 2017) e la detenzione di diverse armi da fuoco. In particolare, Vito Barbara, la moglie Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso sono accusati di omicidio aggravato dai motivi abietti e futili, oltre che dalle modalità mafiose. Sarebbero stati loro gli ideatori ed i promotori del delitto al fine di costringere Francesco Vinci e la moglie Rosaria Scarpulla a cedere alle loro pretese estorsive. 

Avrebbero approfittato di un momento in cui Matteo Vinci si trovava in una zona isolata in compagnia solo del padre Francesco Vinci collocando (ovvero disponendo che altri la collocassero) una radiobomba al di sotto dell’autovettura Ford, modello Fiesta, di proprietà di Francesco Vinci condotta nell’occasione da Matteo Vinci, facendola successivamente esplodere.

Lucia Di Grillo

Vito Barbara, Lucia Di Grillo e Rosaria Mancuso sono poi accusati di aver causato lesioni personali a Francesco Vinci attraverso lo scoppio della bomba collocata sotto l’auto, e quindi anche di detenzione illegale di ordigno esplosivo e distruzione di autovettura. Estorsione aggravata dalle modalità mafiose, l’accusa mossa a Domenico Di Grillo, al genero Vito Barbara, a Lucia Di Grillo, a Rosina Di Grillo e Rosaria Mancuso. Nello specifico, Lucia e Rosina Di Grillo e Rosaria Mancuso avrebbero aggredito i coniugi Francesco Vinci e Rosaria Scarpulla il 29 marzo del 2014 cagionando loro delle lesioni personali. Domenico Di Grillo e Rosaria Mancuso avrebbero poi intimato a più riprese ai coniugi Vinci di cedergli il fondo, del quale erano proprietari, sito a Limbadi in contrada Macrea. Il tutto attraverso violenza e minaccia consistita nell’evocazione della propria caratura criminale e dei collegamenti tra loro stessi e la cosca dei Mancuso (in particolare con i fratelli di Mancuso Rosaria, ovvero Giuseppe Mancuso cl. ’49, Mancuso Pantaleone, alias “l’Ingegnere”, Mancuso Diego e Mancuso Francesco, detto “Tabacco”), con modalità tali da manifestare una notevole carica intimidatoria. Domenico Di Grillo, Vito Barbara e Rosaria Mancuso sono poi accusati di aver colpito con un’ascia ed un forcone il 30 ottobre 2017 Francesco Vinci, con – in particolare – Rosaria Mancuso che avrebbe incitato gli altri due gridando “Ammazzatelo, ammazzatelo”.  Domenico Di Grillo, Vito Barbara e Rosaria Mancuso sono anche accusati di detenzione illegale di armi.

Impegnati nel collegio di difesa gli avvocati: Francesco Capria per Domenico Di Grillo; Francesco Capria e Mario Santambrogio per Rosaria Mancuso; Giovanni Vecchio e Fabrizio Costarella per Vito Barbara e Lucia Di Grillo.

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