giovedì,Gennaio 30 2025

L’ospedale di Vibo Valentia sta chiudendo e la politica è nel panico ma fa finta di niente

A un mese dall’inizio dei lavori di adeguamento sismico dello Jazzolino ancora non è stato deciso dove trasferire pazienti, personale e attrezzature. Sul tavolo ci sono due ipotesi: allestire un ospedale da campo o portare tutto a Tropea

L’ospedale di Vibo Valentia sta chiudendo e la politica è nel panico ma fa finta di niente

Meglio una fine spaventosa o uno spavento senza fine? È il dilemma nel quale si dibatte da decenni l’ospedale di Vibo, che pare essere inchiodato da tempo immemorabile alla seconda opzione. Eppure, ora che la fine spaventosa si avvicina, la mancanza di alternative fa apparire anche quella infinita agonia strutturale e operativa come qualcosa che potremmo rimpiangere. Perché, diciamolo fuori da inutili giri di parole, l’ospedale di Vibo sta chiudendo. E questa volta non è questione di anni, ma di settimane, al massimo qualche mese. Probabilmente tirerà a campare fino a questa estate ma poi, quando i lavori di ristrutturazione e adeguamento sismico da 25 milioni di euro finanziati con il Pnrr entreranno nel vivo, sarà definitamente out. Entro la fine di febbraio, però, bisogna aprire almeno formalmente il cantiere, altrimenti l’Europa, che giustamente se ne frega degli ultimi spasmi dello Jazzolino, si riprenderà i soldi perché il tempo è scaduto. Game over. E in Italia c’è solo una cosa considerata (a chiacchiere) più grave che spendere male i soldi pubblici: essere costretti a restituirli.

Scandalosa corsa contro il tempo

Da qui l’incredibile e scandalosa corsa contro il tempo di una sanità, quella vibonese, che a 4 settimane dalla deadline non sa ancora dove spostare pazienti, personale e attrezzature in attesa che i lavori vengano completati entro il 2026, come prevede il ruolino di marcia del Pnrr. In vista di ciò, tre reparti vanno smantellati e trasferiti altrove: Chirurgia, Ortopedia e Oculistica. In pratica quasi l’intero ospedale. Resterebbe il Pronto soccorso, ma anche il suo trasferimento non è escluso.

Le ipotesi che si sono affacciate all’orizzonte sono sostanzialmente due. Portare tutto a Tropea, dove l’ospedale c’è ed è sottoutilizzato, o allestire un ospedale da campo, magari integrato con unità mobili (in pratica, “container” attrezzati con blocchi operatori, attrezzature diagnostiche e letti di degenza). Insomma, uno scenario di guerra. Che, poi, intendiamoci, non stonerebbe affatto in un contesto come quello vibonese, “bombardato” da 20 anni di promesse tradite. Tanto è passato dalla posa della prima pietra del nuovo ospedale, ancora e sempre in costruzione in località Cocari, all’entrata nord della città. Un’opera il cui costo complessivo è lievitato a circa 190 milioni di euro dai 143 del bando iniziale, ma di cui, per ora, ci sono solo le fondamenta costate 17 milioni di euro. «Sarà completato in tre anni», disse Occhiuto nel 2023, ma è sicuramente difficile trovare qualcuno pronto a scommetterci. Intanto, però, bisogna sopravvivere e spendere i 25 milioni capitalizzati con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, il Pnrr appunto.

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Un ospedale da campo

Il commissario Vittorio Piscitelli, che insieme ad altri due funzionari pubblici guida l’Asp di Vibo, è propenso alla soluzione che prevede un ospedale da campo della Protezione civile e ha avviato un confronto con i primari su questa ipotesi, con la prospettiva di allestire la “tendopoli” sanitaria nei pressi dell’ospedale, soprattutto per supportare il Pronto soccorso. Entro la fine di questa settimana management e medici tireranno le somme. Ma di certo ognuno di loro ha già la sua idea. Abbiamo provato a scoprire quale fosse, ma tutti ci hanno opposto un netto rifiuto: non possiamo parlare. Ma possono sussurrare. E lo fanno. Ciò che emerge è che, al momento, non esiste un’ipotesi condivisa. C’è chi ritiene che spostare i reparti di Vibo a Tropea sia la soluzione migliore, ma le incognite sull’operatività del Pronto soccorso, che resterebbe nel capoluogo, a 30 chilometri di distanza e senza un reparto di Chirurgia su cui poter contare in tempo reale, rendono questa soluzione insidiosa, tanto che l’ago della bilancia sembra pendere decisamente verso l’ospedale da campo.

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Politica nel panico ma qualcuno parla

Intanto, la politica è nel panico anche se cerca di far finta di nulla e sembra non voler guardare il meteorite che viaggia verso Vibo. Don’t look up. Molti svicolano, prendono tempo, annacquano dichiarazioni che in altre circostanze sarebbero un distillato di rabbia politica e recriminazioni. Perché questo è uno di quei casi in cui non basta dare la colpa a qualcun altro per tirarsi d’impaccio.

Tra i pochi che hanno accettato di sbilanciarsi e metterci la faccia c’è il sindaco di Vibo, Enzo Romeo, che però premette: «Essendoci un nuovo ospedale in costruzione, avrei preferito che la città non fosse costretta a confrontarsi con questo problema per l’utilizzo di quello vecchio. Detto questo, ritengo che l’ospedale da campo, fatto in un certo modo, potrebbe essere forse il male minore rispetto al trasferimento dei reparti a Tropea, circostanza che probabilmente significherebbe la morte definitiva dell’ospedale di Vibo».
Perplesso anche il consigliere regionale e coordinatore provinciale di Forza Italia, Michele Comito, che propende per l’ospedale da campo ma senza grandissima convinzione: «In realtà non so dire quale sia la soluzione migliore, si tratta di una scelta che va valutata da un punto di vista tecnico dai medici e dal management dell’Asp. Quello che è certo, però, sono i grandi disagi a cui andranno incontro i cittadini. Ed è sconcertante pensare che si sia arrivati a questo punto senza prevedere con largo anticipo come affrontare la situazione. Ma questi fondi non possono andare persi, perché lo Jazzolino non è sicuro da un punto di vista sismico e l’adeguamento va fatto, anche in vista dei servizi che potrà ospitare quando il nuovo ospedale sarà pronto, dalla farmacia territoriale agli ambulatori».

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Reparti chiusi… ma non troppo

Ecco, di fronte all’emergenza posti letto la sicurezza è passata decisamente in secondo piano negli ultimi mesi, tanto che alcune zone dell’ospedale che erano state chiuse e inibite all’utilizzo proprio a causa del rischio crollo, con tanto di nastri e cartelli a delimitare le aree off-limits, sono state riaperte e ospitano nuovamente malati. Situazione che ripropone plasticamente la domanda iniziale: meglio una fine spaventosa o uno spavento senza fine?

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