lunedì,Gennaio 20 2025

Operazione “Portosalvo”, resta in carcere il boss Pantaleone Mancuso accusato di essere il mandante dell’omicidio di Davide Fortuna

Il delitto fu compiuto tra i bagnanti che affollavano la spiaggia del Pennello. La Suprema Corte conferma la gravità indiziaria costruita dalla Dda di Catanzaro grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Giuseppe Comito, Domenico Guastalegname e Nicola Figliuzzi

Operazione “Portosalvo”, resta in carcere il boss Pantaleone Mancuso accusato di essere il mandante dell’omicidio di Davide Fortuna
La Cassazione e il boss Pantaleone Mancuso
Il luogo dell’omicidio di Davide Fortuna

Confermata l’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti del boss di Nicotera Marina e Limbadi, Pantaleone Mancuso, 63 anni, detto “Scarpuni”, emessa il 24 aprile scorso dal gip distrettuale nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Portosalvo”. La quinta sezione penale della Cassazione ha infatti rigettato il ricorso di Mancuso avverso la decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro del 28 maggio scorso che lo vede gravemente indiziato di essere stato tra i mandanti dell’omicidio di Davide Fortuna, ucciso il 6 luglio del 2012 sulla spiaggia di località Pennello di Vibo Marina in quanto ritenuto elemento di spicco del clan dei Piscopisani. Consorteria, quest’ultima, all’epoca in guerra con il clan Patania di Stefanaconi sostenuto invece da Pantaleone Mancuso che risponde anche dei delitti di detenzione e porto delle armi impiegate per l’omicidio – costituite da una pistola semiautomatica Beretta calibro 9×19 parabellum e da un revolver Sturm Ruger calibro 357 Magnum con matricola abrasa – nonché della ricettazione della prima delle armi indicate. In ordine all’omicidio di Davide Fortuna – ucciso, secondo l’accusa, per vendetta dopo la soppressione “eccellente” di Fortunato Patania il 18 settembre 2011 (indicato quale capo dell’omonimo clan di Stefanaconi) – hanno reso dichiarazioni i collaboratori di giustizia Giuseppe Comito e Domenico Guastalegname di Vibo Marina, oltre a Nicola Figliuzzi di Sant’Angelo di Gerocarne (impiegato quale killer dal clan Patania).

La Cassazione e i collaboratori di giustizia

Giuseppe Comito

La Suprema Corte, nel rigettare il ricorso di Pantaleone Mancuso sottolinea come il Tribunale del Riesame abbia correttamente evidenziato “l’esistenza di una consorteria criminale di tipo mafioso, facente capo alla famiglia Patania, operante nei comuni di Stefanaconi e nella frazione Sant’Angelo di Gerocarne, per come già emerso dalle operazioni Gringia e Romanzo criminale nell’ambito delle quali era stata ricostruita la lunga sequela di omicidi realizzati nel solco di una faida con il gruppo antagonista dei Piscopisani tra il 2011 e il 2012. Era stato inoltre chiarito, da parte dei collaboratori di giustizia, che i Patania erano alleati del clan Mancuso, “di cui faceva parte Pantaleone Mancuso, interessato all’eliminazione degli esponenti del clan dei Piscopisani per arginare la loro egemonia nella provincia di Vibo Valentia”.

Il collaboratore Giuseppe Comito, alias “U Canna”, per la Cassazione ha reso dichiarazioni auto ed etero-accusatorie anche nei confronti di Pantaleone Mancuso, indicato quale mandante dell’omicidio di Davide Fortuna, riferendo di aver preso parte a una prima riunione, alla quale erano presenti Saverio Patania, Francesco Alessandria e Pantaleone Mancuso, finalizzata a definire i dettagli dell’azione criminosa, nonché a una successiva riunione alla quale partecipavano i medesimi soggetti, nel corso della quale il collaboratore apprendeva che Davide Fortuna era stato individuato quale bersaglio dell’azione omicidiaria poiché aveva preso parte all’agguato contro Fortunato Patania, con il ruolo di “specchiettista”. Comito – spiega la Cassazione – era il soggetto deputato, insieme ad Alessandria, all’organizzazione logistica dell’omicidio, in particolare al procacciamento e alla custodia delle armi e del motociclo destinati all’agguato, ed era stato colui che, materialmente, aveva indicato Davide Fortuna al killer, sicché non possono avanzarsi dubbi in ordine alla conoscenza dell’accaduto”.

Quanto al collaboratore Domenico Guastalegname, lo stesso ha confermato tale contesto sottolineando come i “Piscopisani volessero cacciare “Luni Scarpuni” e prendersi tutto il suo territorio a livello ‘ndranghetistico, lasciato libero dopo l’omicidio di Michele Palumbo, ritenuto un esponente della criminalità organizzata nel territorio di Vibo Marina contiguo a Mancuso, era stato assassinato”. Pantaleone Mancuso aveva quindi voluto, ad avviso della Suprema Corte in sede cautelare, che Davide Fortuna fosse “ucciso per ritorsione e con le stesse modalità dell’omicidio Patania, alla presenza della moglie e dei figli”. Fonte delle conoscenze di Domenico Guastalegname viene indicato “Nino Punta, cresciuto con Francesco Fortuna, cugino di Davide Fortuna e di Sarino Battaglia, che stava con la figlia di Nazzareno Colace, a sua volta vicino a Pantaleone Mancuso”.

Nicola Figliuzzi

Infine, il collaboratore Nicola Figliuzzi ha riferito di essere stato “coinvolto nei preparativi dell’azione omicidiaria di Davide Fortuna sino alla metà di aprile 2012 allorché, su richiesta di Pantaleone Mancuso (Scarpuni) era stato mandato ad aiutare Rinaldo Loielo nella faida delle “Preserre”, a conferma di quanto riferito da Comito, secondo il quale Mancuso sovraintendeva alle maggiori attività criminose del territorio”. Rinaldo Loielo, non coinvolto nell’operazione “Portosalvo” è il figlio del defunto boss di Ariola di Gerocarne, Giuseppe Loielo, quest’ultimo ritenuto alleato dei Mancuso ed ucciso insieme al fratello Vincenzo in un agguato avvenuto nell’aprile del 2002 e per il quale stanno scontando la pena dell’ergastolo il boss Bruno Emanuele e il suo braccio-destro Vincenzo Bartone (alias “Pio-Pio”).

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