Confisca beni per 80 milioni all’imprenditore vibonese Castagna: No dalla Corte d’Appello
Revocata anche la sorveglianza speciale che era stata decisa dal Tribunale di Vibo. Inammissibile il ricorso della Procura, fondato quello dei difensori
Rigettato dalla Corte d’Appello, presieduto dal giudice Marco Petrini, l’appello della Procura di Catanzaro avverso il decreto con il quale il Tribunale di Vibo Valentia “Misure di prevenzione” il 10 maggio scorso ha dissequestrato il patrimonio dell’imprenditore Antonino Castagna, 66 anni, di Jonadi, valutato in circa 80 milioni di euro ed al quale la Dia il 23 febbraio 2015 aveva apposto i “sigilli” sulla scorta delle risultanze investigative confluite nell’operazione antimafia denominata “Black money”. Procedimento, quest’ultimo, che vede Antonino Castagna imputato del reato di associazione mafiosa e per il quale il pm Marisa Manzini ha chiesto la condanna a 12 anni di reclusione.
Nessuna confisca, dunque, per i beni di Antonino Castagna (in foto) e, in accoglimento delle argomentazioni difensive degli avvocati Antonio Porcelli e Salvatore Staiano, revocata anche la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, che era stata irrogata dal Tribunale di Vibo per la durata di un anno.
Inammissibile l’appello della Procura. In particolare, la Corte d’Appello ha dichiarato “inammissibile” l’appello della Procura di Catanzaro sulla mancata confisca dei beni in quanto depositato quando il termine per la proposizione dell’impugnazione era già scaduto.
La Corte d’Appello ha ritenuto invece fondati i soli motivi d’appello proposti dalla difesa di Castagna avverso la sorveglianza speciale non risultando, ad avviso dei giudici, il provvedimento del Tribunale di Vibo sorretto da “adeguate argomentazioni logiche e giuridiche in punto di valutazione della ricorrenza degli elementi necessari a fondare un quadro di attuale pericolosità sociale di Castagna”. Per la Corte d’Appello, in tal senso “non vi sono risultanze idonee a sostenere l’originaria prospettazione della pericolosità qualificata dell’imprenditore”, avendo il Tribunale di Vibo riconosciuto valenza probatoria esclusivamente “a fatti posti fondamento dell’originaria misura di custodia cautelare, ma non più in essere da diverso tempo”.
Per i giudici, inoltre, le accuse di “vicinanza” al clan Mancuso rivolte all’imprenditore Antonino Castagna dai collaboratori e testimoni di giustizia sarebbero “generiche e non univoche e comunque risalenti ad un periodo di tempo che va dal 2005 al 2010”. Alla luce di tutto ciò, la Corte ha ritenuto l’impossibilità di desumere la pericolosità sociale di Castagna e da qui l’accoglimento del ricorso degli avvocati Porcelli e Staiano e la revoca della sorveglianza speciale per il proprio assistito.