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«Rapporti vischiosi» con le cosche ma nessuna «prova certa» sui reciproci vantaggi: ecco perché gli Stillitani sono stati assolti

Pubblicate le motivazioni della sentenza del processo Imponimento, in cui gli imprenditori di Pizzo erano accusati di concorso esterno in associazione mafiosa

«Rapporti vischiosi» con le cosche ma nessuna «prova certa» sui reciproci vantaggi: ecco perché gli Stillitani sono stati assolti
L'ex assessore regionale Francescantonio Stillitani

Sta tutta nel finale la motivazione che ha portato il Tribunale di Lamezia Terme – Angelina Silvestri presidente, Maria Giulia Agosti e Gian Marco Angelini a latere – ad assolvere gli imprenditori di Pizzo Francescantonio ed Emanuele Stillitani dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Una sentenza che parla, da un lato, di «rapporti di vischiosità» tra gli Stillitani e le cosche Anello-Fruci di Filadelfia e Accorinti di Briatico, e, dall’altro, viaggia sul filo dell’«oltre ogni ragionevole dubbio», della mancanza di «una dimostrazione certa» che inchiodi il rapporto di reciproca utilità tra gli imprenditori e le consorterie.

«In conclusione – è scritto nelle motivazioni della sentenza –, per quanto siano emersi rapporti di vischiosità tra gli imputati e le cosche avuto riguardo alle modalità con cui detto rapporto è stato portato avanti dai medesimi, tanto non vale, tuttavia, ad integrare l’elemento della volontarietà, mancando del tutto il sinallagma nella fase genetica del menzionato rapporto contaminato dall’elemento della costrizione, manifestatosi con le condotte minatorie di cui si è detto e non essendovi dimostrazione certa oltre ogni ragionevole dubbio che gli Stillitani abbiano ricevuto utilità per le quali era intercorsa una precisa intesa con le consorterie criminali in questione».

In dubio pro reo

Secondo il Tribunale, l’intesa tra i due gruppi, perché si possa parlare di concorso esterno, «deve essere frutto di una libera scelta dell’imprenditore che decide di scendere a patti con le cosche per un suo ritorno favorevole per la propria attività. Deve, invece, escludersi tale qualificazione qualora riaccordo sia teso ad evitare nocumenti o a scongiurare un maggior danno». Su questo punto, ovvero se gli Stillitani siano stati proni alla volontà dei clan per evitare problemi o se, invece, abbiano scelto di essere complici resta il dubbio e, in dubio pro reo, la pronuncia va a favore dell’imputato. «Ciò posto, ritiene il collegio – è scritto in sentenza – che gli elementi indiziari sussistenti a carico degli imputati Emanuele Stillitani e Francescantonio Stillitani non siano dotati di adeguata efficacia probatoria da fondare, oltre ogni ragionevole dubbio, l’emissione dì una pronuncia di condanna».

Genesi del rapporto

Secondo quanto riporta il collaboratore di giustizia Francesco Michienzi il rapporto degli Anello-Fruci con gli imprenditori di Pizzo è nato «in occasione della costruzione del villaggio turistico Garden Resort Calabria sito nel comune di Curinga “per fargli capire che quella zona senza di noi non era sicura”».

La visita di Rocco Anello

In seguito alle intimidazioni, andò lo stesso Rocco Anello, boss di Filadelfia, a minacciare gli imprenditori per imporre il pizzo e l’affidamento dei lavori alle ditte scelte da lui «sennò stati attento che una fucilata lì arriva prima da là sopra, da Filadelfia, che da là sotto (ovvero, secondo le ricostruzioni, da Limbadi, ndr)». Secondo Michienzi, Rocco Anello aveva un tarlo sul villaggio Club Med (ex villaggio Garden) situato in zona Difesa nel Comune di Pizzo Calabro perché «quel villaggio come custodi aveva tutti i ragazzi di Accorinti che faceva riferimento ai Mancuso».

La raccolta voti e il latitante nascosto

Sul tema Stillitani sono stati ascoltati anche i collaboratori Andrea Mantella, Gennaro Pulice, Antonio Accorinti, Onofrio Barbieri.
Il rapporto tra gli Stillitani e le cosche si sarebbe evoluto – raccontano i collaboratori – con la richiesta, tramite un uomo di fiducia degli Stillitani, Bruno Mercuri, di raccolta di voti in favore di Francescantonio Stillitani e, da parte della consorteria, della richiesta di nascondere un latitante di Reggio Calabria, Peppe De Stefano, legato alla cosca Bonavota. Latitante del quale gli Stillitani conoscevano l’identità. Secondo l’accusa questa evoluzione avrebbe segnato la svolta degli Stillitani da vittime in complici, o meglio, in concorrenti esterni.
Di parere contrario il Collegio che non ravvisa elementi, oltre ogni ragionevoli dubbio, per le tesi accusatorie.

Valutazioni sui collaboratori

Secondo l’accusa il filo conduttore dei vari narrati verte sul «vantaggio asseritamente conseguito da Emanuele Stillitani e Francescantonio Stillitani». A parere dei giudici «occorre valutare l’aspetto relativo alla negoziazione della protezione e al mantenimento del controllo della struttura da parte degli imputati, che non avevano più la gestione del villaggio, ormai in capo alla Valtur – dato su cui l’accusa ha focalizzato l’attenzione. Per effettuare tale valutazione non può prescindersi dalla considerazione che è senz’altro pacifico che le cosche avessero pieno potere all’interno dei villaggi riconducibili agli Stillitani ed è altrettanto chiaro che l’ingresso dei sodali nei villaggi sia stato imposto dalla consorteria. L’imposizione riguardava anche le scelte delle ditte e delle forniture. Le dichiarazioni dei collaboratori sul punto sono collimanti».

Nessun elemento inequivocabile

Dunque vittime o complici? La risposta al quesito non trova una riposta inequivocabile: «L’atteggiamento degli Stillitani è un atteggiamento che finisce con l’adeguarsi alle richieste, così certamente consentendo alle cosche di mantenere il potere. Non sono però emersi elementi inequivocabili deponenti nel senso che a tanto corrisponda un vantaggio per gli stessi imputati. La lettura dei brani non comprova in termini di certezza tale conclusione, risultando percorribile anche la versione alternativa che vede gli imputati concludere un’intesa al fine di scongiurare ulteriori danni».

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