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Habanero: nelle dichiarazioni inedite del collaboratore Walter Loielo gli equilibri criminali nelle Preserre vibonesi, tra latitanze e omicidi

La figura dello storico boss Vincenzo Loielo, la sua cattura all’Isola d’Elba, lo scontro con i Maiolo di Acquaro, le lupare bianche e la vita salvata al capo del locale di ‘ndrangheta di Ariola

Habanero: nelle dichiarazioni inedite del collaboratore Walter Loielo gli equilibri criminali nelle Preserre vibonesi, tra latitanze e omicidi
Soriano vista dall'alto e nel riquadro a sinistra Vincenzo Loielo, a destra il collaboratore Walter Loielo

Aprono scenari del tutto inediti sugli equilibri criminali nelle Preserre vibonesi, le dichiarazioni del collaboratore di giustizia Walter Loielo contenute nell’inchiesta Habanero che ha colpito in particolare il clan Maiolo di Acquaro ma anche gli stessi Loielo che hanno la loro “roccaforte” ad Ariola di Gerocarne. Dichiarazioni che permettono di delineare il ruolo di un personaggio di primo piano all’interno della “famiglia” (per come certificato anche da sentenze definitive pur non essendo indagato nell’operazione Habanero), vale a dire quello di Vincenzo Loielo (cl. ’47), capace di sfidare apertamente sia la ‘ndrina di Acquaro ma anche di imporre il suo volere allo storico boss della “società” di ‘ndrangheta di Ariola, cioè Antonio Altamura, e “dettare” così la propria linea criminale all’omonimo clan.

La figura di Vincenzo Loielo

Vincenzo Loielo

Che non si tratti di una figura qualsiasi lo provano del resto le sentenze definitive per le quali è stato condannato e le pene già scontate. Vincenzo Loielo è stato infatti condannato in via definitiva a 22 e 18 anni di reclusione per i sequestri di persona degli imprenditori Paolo Giorgetti (di Meda, in provincia di Milano) e Cataldo Albanese (originario di Massafra, nel Tarantino), rapiti rispettivamente nel 1978 e nel 1989. Loielo è rimasto così ininterrottamente detenuto in carcere dal 1991 al 14 luglio 2014 quando la Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro, in accoglimento di un’istanza presentata dall’avvocato Francesco Sabatino, l’aveva rimesso in libertà. Nel processo “Luce nei boschi”, il 77enne è stato invece assolto in via definitiva sia per il reato di estorsione che per il duplice omicidio di Rocco Maiolo e Raffaele Fatiga, scomparsi da Acquaro agli inizi degli anni ’90 e mai ritrovati. Per i due delitti, inquadrabili in un tipico caso di “lupara bianca”, il pm Marisa Manzini aveva chiesto per Vincenzo Loielo la pena dell’ergastolo. Nel frattempo, in altro troncone dell’operazione “Luce nei boschi”, Vincenzo Loielo – al termine di un processo celebrato con rito abbreviato – ha rimediato nel 2015 la condanna definitiva a 3 anni e 4 mesi di reclusione per il reato di associazione mafiosa. Per non scontare la pena, il capo della famiglia Loielo si è dato così alla latitanza venendo tratto in arresto un anno dopo, l’8 giugno 2016 dai carabinieri a Portoferraio, comune dell’Isola d’Elba. Ed è proprio al periodo della sua latitanza che fanno ora riferimento le inedite dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Walter Loielo, contenute nell’inchiesta Habanero scattata nel giugno scorso ad opera della Dda di Catanzaro.

Walter Loielo e la latitanza del capo

L’eliminazione dei Loielo e nei riquadri Bruno Emanuele e Vincenzo Bartone

“Vincenzo Maiolo è mio cugino, ed è colui – ha dichiarato a verbale il collaboratore Walter Loielo – che ha ucciso il padre dei Maiolo”. Il riferimento è ad Angelo e Francesco Maiolo di Acquaro, tra i principali arrestati dell’operazione Habanero e rispettivamente figli degli scomparsi, per “lupara bianca”, Rocco e Antonio Maiolo. Per l’omicidio di Rocco Maiolo (come già visto), Vincenzo Loielo ha incassato l’assoluzione definitiva nel processo “Luce nei boschi”, mentre per la sparizione di Antonio Maiolo non ha mai subito alcun processo. Il cadavere di Antonio Maiolo è stato poi fatto ritrovare dal collaboratore di giustizia Enzo Taverniti, che ha però ha spiegato come ad eliminare colui che veniva ritenuto quale capo dell’omonimo clan di Acquaro (Maiolo) sarebbero stati un altro omonimo Vincenzo Loielo (cl. ’66) – primo cugino di Vincenzo Loielo (cl. ’47) ed al tempo stesso cognato di Taverniti – e Antonio D’Amico di Piscopio. Vincenzo Loielo (cl. ’66), di Ariola di Gerocarne, è stato a sua volta ucciso il 22 aprile 2002 insieme al fratello Giuseppe (entrambi ritenuti esponenti di primo piano del clan), mentre D’Amico è stato eliminato il 2 giugno 2005. Per gli omicidi dei boss Vincenzo (cl. ’66) e Giuseppe Loielo stanno scontando la condanna (definitiva) all’ergastolo il boss Bruno Emanuele e il suo braccio-destro Vincenzo Bartone (alias “Pio-Pio”). Il delitto di Antonio D’Amico resta invece, allo stato, impunito.

Nel periodo in cui era latitante, sia Vincenzo Loielo – ha fatto mettere a verbale il collaboratore Walter Loielo – che suo fratello Antonio ci aiutavano a fare gli omicidi. Prima è stato latitante in una casa della nonna di Rinaldo Loielo, poi lo abbiamo spostato ad Acconia di Curinga in unacasa della suocera di Rinaldo. Lo spostamento fu effettuato da Nicola Ciconte e Alex Nesci mentre io, Rinaldino Loielo e Valerio Loielo abbiamo fatto da staffetta”. Rinaldo Loielo (estraneo all’inchiesta Habanero) è il figlio del boss assassinato Giuseppe Loielo ed ha scontato insieme al cognato una condanna definitiva per la detenzione di un potente ordigno esplosivo ceduto ai due giovani dal boss Pantaleone Mancuso (“Scarpuni”). Rinaldino Loielo (cl. ’95) è invece il figlio del defunto boss Vincenzo Loielo (cl. ’66) ed è indagato nell’operazione Habanero per altre contestazioni, mentre Valerio Loielo (non indagato in Habanero) è l’altro figlio del defunto boss Giuseppe. Nicola Ciconte è invece il giovane rimasto gravemente ferito dallo scoppio di una bomba piazzata sotto la sua auto il 25 settembre 2017 in località Savini di Sorianello, mentre Alex Nesci (pure lui al pari di Ciconte non indagato nell’operazione Habanero) è rimasto vittima di un tentato omicidio, insieme al fratello portatore di handicap ed all’epoca di soli 13 anni, in data 28 luglio 2017 a Sorianello.

Vincenzo Loielo e l’estorsione al figlio di Altamura

Antonio Altamura

Abbiamo gestito la latitanza di Vincenzo Loielo (cl. ’47) per un periodo coincidente con la mia uscita dal carcere – ha raccontato il pentito Walter Loielo – e nell’ultimo mese dei domiciliari, intorno ad agosto del 2015, già era da noi. Lo utilizzavamo per eseguire gli omicidi perché oltre ad essere una persona di esperienza era anche latitante, quindi questo consentiva che se ci avessero fatto lo stub non avrebbero trovato nulla. Lo abbiamo tenuto come latitante fino ad un mese prima che lo catturassero all’Isola d’Elba, difatti si era allontanato perché aveva litigato con me. Il motivo del litigio – svela il collaboratore – era la richiesta estorsiva che Vincenzo Loielo voleva fare al figlio di Antonio Altamura, ed era indiavolato perché prima di tutti questi soggetti c’era lui a comandare: ancor prima dei Maiolo e prima degli Emanuele. Il litigio derivava dalla spartizione dei soldi dell’estorsione, sebbene non l’avessimo ancora fatta: Vincenzo Loielo voleva tenere i soldi tutti per sé in forza dell’anzianità e del ruolo, mentre io volevo dividerli con tutti gli altri con cui alla fine ci eravamo cresciuti. Sono a conoscenza che mio cugino Vincenzo Loielo era alto come livello di ‘ndrangheta perché voleva battezzare me, Valerio e Rinaldino, mentre Rinaldo Loielo era già stato battezzato in carcere a Siano. A quanto io ne sappia – ha concluso sul punto il collaboratore Walter Loielo – di battezzati alla ‘ndrangheta nella mia famiglia ci sono Rinaldo, Cristian e Vincenzo Loielo. Noi altri facevamo ugualmente parte del gruppo nonostante del battesimo non ci interessasse più di tanto, visto che era più una cosa di rispetto. Rinaldo Loielo, durante i domiciliari, mi riferì che erano stati battezzati in carcere lui e mio fratello Cristian”. Cristian Loielo sta attualmente scontando una condanna definitiva a 30 anni di reclusione quale esecutore materiale (in cambio di una cifra tra i dieci e quattordicimila euro) dell’omicidio di Giuseppe Canale, avvenuto il 12 agosto del 2011 a Gallico, periferia nord di Reggio Calabria.

Quando Loielo salvò Altamura

Giuseppe Loielo
Vincenzo Loielo (cl. ’66)

Il boss Antonio Altamura, 78 anni, sta scontando una condanna definitiva a 16 anni di reclusione quale capo indiscusso del “locale” di ‘ndrangheta di Ariola con fine pena fissato per il 12 marzo 2031. Dalla sentenza dello storico processo “Luce nei boschi” emerge che nei suoi confronti tra il 2000 e il 2001, per ragioni di supremazia mafiosa, era pronto un agguato ad opera dei fratelli Giuseppe e Vincenzo Loielo (entrambi poi a loro volta uccisi nel 2002 dal boss Bruno Emanuele che divenne così il “braccio-armato” del “locale” di ‘ndrangheta di Ariola). A fermare i fratelli Loielo nel loro progetto di morte contro Altamura sarebbe stato dal carcere proprio il cugino Vincenzo Loielo (cl ’47) che si sarebbe fermamente “opposto all’omicidio – ha scritto il giudice in sentenza – affermando che Altamura operava anche per suo conto”. Antonio Altamura avrebbe così continuato a dirigere il “locale” di ‘ndrangheta di Ariola (frazione di Gerocarne), strettamente collegato ai clan del Reggino, la cui esistenza è stata certificata per la prima volta grazie all’operazione “Luce nei boschi”.

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