lunedì,Dicembre 30 2024

LA STORIA | Da Briatico al North Carolina, quel legame indissolubile con il paese natio

Il filo invisibile che lega un briaticese emigrato negli Stati Uniti con il luogo natale, si materializza in forme inaspettate e originali ma al tempo stesso densi di appartenenza e nostalgia. Così, anche la neve caduta nel giardino di casa, offre a Leone De Gaetano lo spunto per ricordare le proprie radici

LA STORIA | Da Briatico al North Carolina, quel legame indissolubile con il paese natio

di Mariella Epifanio

I social network. Questo immenso mondo virtuale, specchio di una modernità in gran parte sterile, apatica a qualsiasi rivoluzione reale ma contraddittoriamente, sempre protagonista in quella virtuale, lascia ogni tanto il posto a delle storie semplici ma ricche di un’umanità, di una fantastica normalità, che stupiscono. Una di queste storie, si è manifestata in tutta la sua simbologia di appartenenza alla terra natia. Tra le centinaia di foto di neve viste in questi giorni, alcune in particolare, hanno completamente rapito la mia attenzione.

Erano foto che ritraevano un particolarissimo pupazzo di neve, nelle sembianze dell’antica e bellissima torre di Briatico. Antica torre di avvistamento delle navi dei pirati, rimasta per secoli a vegliare, in quell’insenatura della marina di Briatico, i suoi tanti vecchi e pochi giovani pescatori. E’ il simbolo stesso della cittadina. Un punto fermo, un segno di appartenenza a quella storia e a quella terra. L’autore dell’originale scultura di neve è Leone De Gaetano e si trova a Wake Forest, North Carolina. Stati Uniti. Leone è un signore originario di Briatico che vive in America dal 1977, dove ha messo su famiglia e ha lavorato per tutti questi anni. L’ultima volta che è venuto in Calabria a ritrovare le sue radici, la sua famiglia e i suoi amici, è stato 13 anni fa.

Leone oggi ha 64 anni e non passa giorno della sua vita che non faccia visita a Facebook per leggere, dai contatti degli amici briaticesi, notizie sul suo paese e sulla sua nazione. Grazie alla rete, Leone ha trovato il modo di seguire la sua terra e la sua gente anche da lontano e in maniera più diretta, a più di 8000 chilometri di distanza. In occasione di un abbondante nevicata anche nel North Carolina, il suo pensiero è andato ancora una volta alla sua Briatico, realizzando con la neve una torre in miniatura nel suo giardino. Un pezzo d’orgoglio, un modo di sentirsi vicino alla sua storia e alla sua identità che ha voluto condividere nella rete social.

Le sue foto hanno ricevuto una pioggia di “like” e di complimenti da amici che lo seguono da sempre. La storia di Leone è un’altra grande storia, come quella di molti altri italiani che, per realizzare qualcosa dalla sua vita, nonostante il grande amore per questa terra, ha dovuto lasciarla. In una video conferenza di tempo fa, in occasione delle elezioni americane, mi disse che nonostante questo grande amore che nutre da sempre per la sua terra, c’era un’incompatibilità di carattere tra lui e il sistema di vivere in Calabria. Troppa rabbia e troppa poca sopportazione di alcune caratteristiche che spingono molti calabresi ad abbassare la testa e ad accontentarsi di quello che si può avere.

La storia di Leone e dell’appartenenza che sente verso la sua terra, arriva a pochi giorni dalla festa del tricolore, istituita dalla legge n. 671 del 31 Dicembre 1996 e che coincide ogni anno, nella data del 7 gennaio. Una festa passata in sordina per i media, con pochi riferimenti in tv e sui giornali. Eppure, quella bandiera che tanto ci fa battere il cuore ai mondiali o ad italiani lontani migliaia e migliaia di km dal loro paese natio, ebbe origine per merito di due giovanissimi studenti bolognesi nel 1794: Luigi Zamboni e Giovanni Battista De Rolandis.

Pagarono con la vita la loro voglia di alzare la testa e gridare la loro rabbia contro il potere assolutista che guidava la città ormai da 200 anni. Realizzarono una coccarda di tre colori: verde, bianca e rossa, e se la poggiarono sul cuore. Morirono perché furono traditi. La voglia di ribellione e la difesa dei diritti di giustizia, uguaglianza e fratellanza, tre obiettivi senza i quali non ci può essere democrazia, dignità e prosperità, erano e sono elementi che l’italiano moderno, nel suo vivere sterile nei valori della famiglia e dell’onestà, preda e schiavo di falsi idoli figli del potere, non riesce a comprendere. Un’incomprensione che porta a non sentire dentro al cuore la fiamma della Patria, l’amore per una terra che, seppur amara e dolorosa, è pur sempre la terra che ha accolto la nostra storia; le nostre origini.

Leone e tanti altri calabresi sparsi per il mondo, questo lo sanno. E basta un piccolo ricordo ricostruito in una terra straniera per far assaporare alla mente e al cuore, i profumi, i gusti e i suoni, di un posto che è nelle vene dalla nascita.

Un giorno, ricevetti un libro da un amico, “Ad esempio a me piace. Un viaggio in Calabria”, a cura di Marco Ambrosi. Il libro conteneva diverse storie ed esperienze di calabresi. Una in particolare mi rimase nel cuore: “Le pietre di mio cugino Giò” del grande scrittore calabrese Vito Teti. Nella storia, resta sottolineato un passo che rileggo spesso: “L’uomo che è partito ritorna al luogo di origine per nostalgia o per abitudine? Per necessità o per pigrizia? […] Quando torna è davvero a suo agio o non prova il dolore di un nuovo spaesamento? Il viaggio di ritorno è meno doloroso e intenso di quello di partenza? Non sono domande banali. Hanno accompagnato tutte le vicende di esodo e anche un secolo di emigrazione calabrese. Chi vive la condizione del restare e dell’attesa di chi deve tornare, percepisce il dolore di chi parte e anche il proprio, di chi rimane. Chi resta deve coltivare l’arte dell’attesa. Spesso custodire il mondo e gli affetti per colui che è partito e che immagina e annuncia un ritorno.”

Ecco Leone, i tuoi amici di Briatico stanno provando a custodire nel miglior modo possibile, una parte dei tuoi ricordi e della nostra cittadina. Che questo passo, possa essere per te e la tua famiglia un augurio; l’augurio a poterci abbracciare presto in Calabria, li dove la tua Torre ti aspetta da sempre tra lo scroscio delle onde e il tipico odore della salsedine mischiata a quello dei campi coltivati vicini. E come scriveva ancora Cesare Pavese ne “La luna e i falò”, “Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.

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