Quell’affronto di Pasquale Bonavota da lavare col sangue: il piano di Mimmo Cracolici e il No del boss Raffaele. «E poi hanno ammazzato lui»
Un testacoda fatto per provocare scatenò le ire di alcuni componenti del clan rivale che avrebbero voluto uccidere il boss di Sant'Onofrio. I fedelissimi pronti a farsi tatuare il soprannome della cosca sul braccio e ad accollarsi colpe e galera. I dettagli nell'inchiesta che ieri ha portato a 59 arresti
Uomini pronti a farsi tatuare il soprannome della cosca come segno di appartenenza. Nella cosca Cracolici di Maida un nome di staglia fra gli altri, quello di Domenico, detto Mimmo, 53 anni, l’uomo che, come racconta egli stesso, avrebbe organizzato un piano per uccidere il boss di Sant’Onofrio Pasquale Bonavota. Ma procediamo con ordine.
Il soprannome “Palermo” da sempre contraddistingue la cosca Cracolici, sia il ramo di Maierato che quello di Maida colpito, quest’ultimo, dall’operazione Artemis, eseguita giovedì mattina dai carabinieri di Catanzaro e Vibo Valentia. Una famiglia dalle origini siciliane che ha radicato potere mafioso sui territori del Vibonese e del Catanzarese. Al proprio servizio, rivela l’indagine, il clan aveva fedelissimi pronti a tatuarsi il nome “Palermo” sul braccio e pronti ad accollarsi responsabilità penali per tirare fuori dai guai i propri capi.
È il caso di Moreno Mastantuono, 53 anni, di Cortale, accusato di associazione mafiosa. Nel 2022, mentre era detenuto in carcere, si è fatto incidere il soprannome del suo capo «come simbolo di appartenenza alla cosca Cracolici».
Da questo episodio «emerge – scrive il gip – non solo il senso di appartenenza e di estrema fedeltà del Mastantuono ma anche il riconoscimento preciso del ruolo di Domenico Cracolici da cui egli vorrebbe essere battezzato».
La proposta (non accolta) di uccidere Pasquale Bonavota
Domenico Cracolici rivendicava «a sé un ruolo di leader criminale – sostiene il gip – capace di prendere decisioni anche più oculate del capo indiscusso poi ucciso», ovvero Raffaele Cracolici, vittima di un agguato nel 2004.
Mimmo, nel corso di una intercettazione afferma di avere proposto allo zio Raffaele di uccidere Pasquale Bonavota, nemico storico dei Cracolici, in occasione dell’arresto di quest’ultimo. Il beneplacito, però, non era arrivato e Domenico Cracolici racconta di come tale scelta si fosse rivelata sbagliata «visto che poi sarebbe stato Raffaele a perdere la vita in un agguato».
La sfida di Pasquale Bonavota a Domenico Cracolici
L’intento di uccidere Bonavota, racconta Cracolici, era sorto in seguito a una provocazione lanciata dallo stesso ex boss oggi al 41 bis. Riassumendo, scrivono i magistrati della Dda, Bonavota «lo aveva provocato effettuando un testacoda davanti a lui con la sua auto, una Fiat Bravo, ma Domenico Cracolici, senza scomporsi, gli aveva rivolto un sorriso di sfida. Quindi, dimostrando il suo coinvolgimento nelle vicende di vita associativa della cosca di origine di Maierato, descriveva come i Bonavota, all’epoca, avessero atteggiamenti spocchiosi e arroganti, in quanto si sentivano “dei boss”». A quel punto Domenico Cracolici racconta «di aver chiesto allo zio Raffaele, all’epoca capo indiscusso della ‘ndrina, l’autorizzazione a dare una risposta forte alla provocazione di Bonavota, vedendosi però negare il permesso dallo zio il quale assicurava che se ne sarebbe occupato lui, senza poi portare a termine l’intento in quanto “e poi se lo è ammazzato, lo hanno ammazzato!”».
«Si è fatto uccidere»
«In chiusura di conversazione – riporta la Dda –, Mimmo spiegava alla donna che lo zio si era fatto uccidere perché aveva pensato, invano, di poter chiudere la questione con i Bonavota senza ulteriori spargimenti di sangue; quanto a lui, invece, non sarebbe stato né arrestato né ammazzato, vantandosi di averla scampata diverse volte in forza della sua esperienza in quell’ambiente “non sono l’ultimo arrivato cara… non sono l’ultimo arrivato!”»
Le false testimonianze per salvare Mario Cracolici
Il 17 giugno 2022 sono stati tratti in arresto Moreno Mastantuono, Mario Cracolici, Matteo Cracolici e Alfredo Cracolici con l’accusa di coltivazione illegale di marijuana. Al termine del processo è stato condannato a tre anni e sei mesi di reclusione e 18mila euro di multa il solo Mastantuono.
Per l’assoluzione di Mario Cracolici sono state determinati, come si legge in sentenza, le testimonianze di Mariagrazia Bertuca e Andrea Molea. I due, ricostruisce l’accusa, sarebbero stati cooptati da Domenico Cracolici per testimoniare che Mario Cracolici non fosse in grado di badare a se stesso ed avesse necessità di assistenza continua e quotidiana. I due testimoni, in realtà, «non solo non erano mai stati a casa di Mario, ma nemmeno lo conoscevano», scrive il gip.
Alla fine Mastantuono si sarebbe assunto tutte le responsabilità della serra di marijuana.
La riconoscenza nei confronti di Mastantuono Dal canto suo Domenico Cracolici si sarebbe mostrato seriamente intenzionato a farsi carico del sostentamento carcerario di Mastantuono affermando «in modo chiaro che non aveva intenzione di abbandonarlo».
«La riconoscenza di Mimmo verso Mastantuono – scrive la Dda di Catanzaro – si traduceva anche in un aiuto economico alla sua famiglia».
Addirittura periodicamente la moglie di Cracolici avrebbe fatto la spesa per Moreno Mastantuono «nei cui confronti si sentiva in colpa, essendosi intestato la serra e assunto l’intera responsabilità della piantagione».