mercoledì,Novembre 6 2024

Processo Maestrale, testimone di giustizia: «Lettere dal carcere all’esterno nascoste nei pacchi delle merendine»

Ewelina Pytlarz ha svelato in aula gli stratagemmi utilizzati da Giuseppe Mancuso per comunicare con Salvatore Ascone. Le microspie nelle auto e nelle abitazioni ritrovate dal clan grazie a una particolare strumentazione

Processo Maestrale, testimone di giustizia: «Lettere dal carcere all’esterno nascoste nei pacchi delle merendine»
Salvatore Ascone

Microspie ritrovate grazie all’utilizzo di apposita strumentazione tecnica e messaggi portati all’esterno del carcere dalla attraverso i pacchi delle merendine. A svelare gli stratagemmi utilizzati dal clan Mancuso per eludere le indagini e comunicare con gli affiliati è stata Ewelina Pytlarz, ex moglie di Domenico Mancuso, quest’ultimo fratello dei boss Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, e Giuseppe Mancuso, detto “Pino Bandera”. Nel corso del processo nato dalle operazioni antimafia Maestrale-Carthago, Olimpo e Imperium, ad esaminare la testimone di giustizia dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia è stato il pm della Dda di Catanzaro Antonio De Bernardo. Era Salvatore Ascone di Limbadi, detto U Pinnularu, il destinatario dei messaggi provenienti dal carcere ma anche la persona che si occupava del ritrovamento delle microspie. Veniva spesso a casa dei miei suoceri, così come la mia famiglia si recava a casa sua”. Ewelina Pytlarz ha quindi spiegato che dopo una perquisizione ad opera della polizia, il marito Domenico Mancuso si è rivolto a Salvatore Ascone per controllare la presenza di microspie. Ascone diceva che aveva uno strumento – ha raccontato la testimone di giustizia – per trovare le microspie sia nelle case che in macchina. Un giorno è infatti venuto da noi Manuel Callà dicendo che Ascone con la sua strumentazione gli aveva trovato nell’auto una microspia”.

Lettere dal carcere nella scatola delle merendine

Giuseppe Mancuso “Bandera”

Ewelina Pytlarz ha poi svelato i sistemi di comunicazione con l’esterno utilizzati dal detenuto Giuseppe Mancuso, alias “Pino Bandera”, per comunicare con il resto della famiglia ed anche con Salvatore Ascone. “Ho conosciuto Giuseppe Mancuso nel corso di un colloquio in carcere e lo stesso comunicava con l’esterno e con Ascone nascondendo delle lettere nel doppio fondo delle scatole delle merendine. Era lui a portare il pacco di merendine che consumavamo nel corso dei colloqui in carcere. Quando andavamo via, il pacco rimaneva a noi, a mio marito, il fratello di Giuseppe, e nel doppio fondo c’erano le lettere destinate ad Ascone”. È toccato quindi al legale di Salvatore Ascone, l’avvocato Antonio Caruso, nel corso del controesame, far emergere che Ewelyna Pytlarz non è stata mai presente nel corso dell’utilizzo della strumentazione per ritrovare le microspie. Per quanto riguarda, invece, le lettere di Giuseppe Mancuso destinate a Salvatore Ascone, la testimone di giustizia ha sostenuto la mancanza di controlli da parte della polizia penitenziaria sulle scatole con le merendine portate dal carcere all’esterno. Giuseppe Mancuso, 63 anni, di Limbadi, alias “Pino Bandera” – a differenza di Ascone – non figura tra gli imputati del maxiprocesso Maestrale, Olimpo e Imperium. Ha scontato tre condanne definitive a 18 anni di carcere relative al processo Decollo (narcotraffico internazionale di cocaina), più 8 anni rimediati al termine del processo nato dall’operazione “Smirne” ed altri 3 anni ancora per il processo “Grandi Firme” relativo all’importazione di tre tonnellate di cocaina. Attualmente è sottoposto alla misura della libertà vigilata con obbligo di soggiorno.

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