mercoledì,Dicembre 18 2024

Si fingono ‘ndranghetisti e minacciano un imprenditore romano che poi si suicida: coinvolto anche un vibonese

Massimiliano Marucci ha deciso di togliersi la vita dopo aver ricevuto la richiesta di 600mila euro ma non si trattava di mafiosi bensì di una banda di criminali comuni di cui faceva parte anche un altro calabrese

Si fingono ‘ndranghetisti e minacciano un imprenditore romano che poi si suicida: coinvolto anche un vibonese

Di Vincenzo Imperitura
Ci sono le minacce di ritorsioni e i nomi di qualche casato pesante di ‘ndrangheta nella fine tragica di Massimiliano Marucci, imprenditore romano morto suicida per un’estorsione di 600mila euro e  per avere creduto di avere esposto se stesso e la sua famiglia alle vendette del crimine organizzato calabrese. È una storia che puzza di mafia, di quelle storie che ormai riempiono le pagine delle cronache di mezzo Paese. Una storia che però, appena sotto la superfice, nasconde una banda di criminali comuni (due dei quali calabresi: uno di Pizzo, l’altro di Palmi) che per aumentare la pressione sulla propria vittima e convincerlo così ad accollarsi debiti che non gli appartenevano, ha simulato un’appartenenza che non avevano. Un espediente che sembra preso da una serie tv di seconda scelta ma che è bastato a fare breccia nell’animo dell’imprenditore, così terrorizzato dell’interesse dei «calabresi» per la sua vicenda, da implorare uno dei propri aguzzini di lasciare in pace il proprio figlio ignaro di tutto: «Consentitegli di terminare gli studi» dirà intercettato l’imprenditore dopo avere ceduto al ricatto.

C’è un ammanco di 150mila euro ad accendere la spirale di minacce e vessazioni in cui finirà risucchiato Marucci. Un furto che la stessa vittima aveva messo in piedi nei confronti della società per cui lavorava e che, una volta venuto a galla, aveva messo l’imprenditore con le spalle al muro. Chiamato a rispondere dell’ammanco, Marucci si trova davanti al suo ex capo (implicato in questa indagine ma finito in arresto qualche settimana prima per un altro procedimento) che si limita a riferire di avere ceduto il debito «ai calabresi». È la prima goccia. Avvicinato da un altro personaggio, Samuele Melara, legato alla medesima azienda (una ditta che si occupa di prodotti ittici sul litorale romano) con la mansione di recupero crediti, Marucci inizia il suo personale viaggio nell’inferno di una finta mafia che agisce e si atteggia come la mafia vera e che lo porterà ad impiccarsi all’interno della sua auto.
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