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Processo per l’alluvione di Vibo del 2006, in appello la discussione del legale delle vittime

La Procura generale ha chiesto la conferma dell'assoluzione in primo grado per 14 imputati tra ex tecnici comunali, ex politici della Provincia e funzionari della Regione. L’avvocato di parte civile, Giuseppe Pasquino, ha impugnato (ai soli effetti civili) la sentenza per il reato di disastro colposo. L’omicidio colposo era invece caduto in prescrizione nel 2016

Processo per l’alluvione di Vibo del 2006, in appello la discussione del legale delle vittime
Un'immagine dall'alto dell'alluvione del 3 luglio 2006
La Corte d'Appello di Catanzaro
La Corte d’Appello di Catanzaro

Nuova udienza per il processo di secondo grado a Catanzaro in sede penale – però ai soli effetti civili – per il disastro dell’alluvione che il 3 luglio 2006 ha sconvolto Vibo e le Marinate provocando tre morti e danni per milioni di euro.  A ordinare la citazione in giudizio di 14 imputati, assolti in primo grado, era stata la prima sezione penale della Corte d’Appello di Catanzaro presieduta dal giudice Loredana De Franco dinanzi alla quale si è oggi registrata la richiesta della Procura generale di confermare la sentenza assolutoria di primo grado emessa dal Tribunale collegiale di Vibo Valentia il 30 luglio 2020 (presidente il giudice Giulio De Gregorio). Al processo di secondo grado si è quindi giunti poiché il legale di parte civile, l’avvocato Giuseppe Pasquino, ha proposto appello avverso le assoluzioni per il reato di disastro colposo.  Giuseppe Pasquino rappresenta nel processo i genitori e i fratelli del piccolo Salvatore Gaglioti – deceduto nel corso dell’alluvione – e i familiari dello zio Ulisse Gaglioti (anche lui deceduto). Tali parti civili hanno quindi proposto appello (per gli effetti civili) nei confronti dei seguenti imputati, tutti assolti in primo grado: Domenico Corigliano, ex comandante della Polizia Municipale di Vibo (avvocati Antonio Pagliaro ed Elvira Domanico); Giacomo Consoli, ex dirigente del settore Lavori pubblici del Comune di Vibo (avvocato Antonello Fuscà); Pietro La Rosa, responsabile della sorveglianza idraulica dei bacini idrografici nella provincia di Vibo (avvocato Giosuè Megna); Raffaella, Alessandra, Maria Antonietta e Fabrizio Marzano, proprietari di alcuni immobili in contrada Sughero, difesi dall’avvocato Tony Crudo. Nel processo d’appello figurano quali imputati anche: Giovanni Ricca, 64 anni, di Cosenza; Ugo Bellantoni, 88 anni, di Vibo Valentia (già alla guida dell’Ufficio tecnico del Comune di Vibo); Paolo Barbieri, 66 anni, di Sant’Onofrio (già vicepresidente della Provincia di Vibo); Silvana De Carolis, 73 anni, di Vibo Valentia (ex dirigente del Comune di Vibo);  Gaetano Ottavio Bruni, 80 anni, di Sant’Onofrio (già presidente della Provincia di Vibo); Ottavio Amaro 65 anni, di Reggio Calabria; Filippo Valotta, 60 anni, di Vibo Valentia.
L’appello per chiedere la responsabilità degli imputati (ai soli effetti civili per l’obbligo risarcitorio poiché all’accusa privata – cioè alle parti civili – è precluso l’appello per gli effetti penali che spetta invece alla Procura) avviene per il solo reato di disastro colposo in quanto occorre ricordare che il 25 ottobre 2016 il Tribunale di Vibo aveva dichiarato la prescrizione (atteso che nessuno degli imputati aveva inteso rinunciarvi per avere un’eventuale assoluzione nel merito) per i reati di omicidio colposo e omissione d’atti d’ufficio. Gli imputati dovevano tutti rispondere di aver cagionato con condotte colpose, ognuno per i rispettivi ruoli, la morte del piccolo Salvatore Gaglioti (di soli 16 mesi) e dello zio Ulisse Gaglioti sommersi, unitamente a Nicola De Pascale (altra vittima dell’alluvione), da una colata di fango e detriti sulla Statale 18 nei pressi della non lontana contrada Sughero.

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Le altre parti civili e i responsabili civili

Tre gli enti chiamati a rispondere quali responsabili civili: la Regione Calabria, assistita dall’avvocato Antonio Montagnese, il Comune di Vibo, difeso dall’avvocato Nicola Lo Torto, la Provincia di Vibo, difesa dall’avvocato Francesco Maione. Tali difensori, nel corso dell’udienza odierna, si sono associati alla richiesta della Procura generale di Catanzaro di confermare la sentenza assolutoria di primo grado decisa dal Tribunale di Vibo. Tra le parti civili, invece, oltre ai familiari delle vittime, figurano anche anche Legambiente Calabria rappresentata dall’avvocato Rodolfo Ambrosio e i privati Anna Maria Betrò, Annalisa, Francesca e Giuseppe De Pascale, tutti assistiti dall’avvocato Giovanni Vecchio.

Le responsabilità nel disastro nella discussione dell’avvocato Pasquino

L’alluvione del 2006 a Vibo Marina

E’ toccato quindi oggi all’avvocato di parte civile Giuseppe Pasquino, nel corso del suo intervento, spiegare ai giudici della Corte d’Appello di Catanzaro i motivi per i quali – a suo avviso – esistono dei profili di responsabilità in capo agli imputati di cui ha chiesto di dichiarare la condanna al risarcimento dei danni. In particolare, il legale ha ricordato che gli imputati sono stati tutti assolti in primo grado con la formula “perché il fatto non sussiste”, sulla base dell’eccezionalità dell’evento alluvionale e della mancanza di un nesso causale – ad avviso del Tribunale di Vibo – tra le condotte addebitate e l’evento medesimo.  L’intervento in aula del legale di parte civile ha puntato a provare invece tale nesso causale partendo “dall’errata valutazione delle emergenze processuali, in particolare dei testi D’Amico, Nigro, Naso, Versace, Virdò e dei testi che hanno riferito del rinvenimento del veicolo e dei corpi delle vittime, delle dichiarazioni rese dagli imputati Consoli, De Carolis, Corigliano, nonché delle perizie in atti, completamente disattese”. Secondo la tesi del Tribunale di Vibo, il percorso dell’acqua nella giornata del 3 luglio 2006 non sarebbe stato quello descritto nel capo di imputazione, ossia l’acqua non si sarebbe incanalata nella strada di lottizzazione dei Marzano, finendo alla fine del suo percorso per determinare la frana, ma sarebbe confluita da subito sulla parte ulteriore del fosso Rio Bravo, finendo in parte sul corso del fosso e in parte sulla Statale 18, tutto ad una quota più a monte rispetto alla frana. Tale tesi dei giudici di primo grado è stata fortemente censurata dal legale di parte civile, Giuseppe Pasquino, poiché “oltre a rasentare un’assurdità che ha dell’incredibile – ha affermato – si  scontra altresì con una montagna di ben diverse risultanze istruttorie, oltre che con la logica, il buon senso e le leggi della fisica”.

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L’esistenza della frana

Secondo il vocabolario Treccani – ha sottolineato l’avvocato Pasquino – il termine “smottamento” qualifica la “frana da scolamento” o cedimento di terreni poco coesi, fortemente imbevuti d’acqua, dunque uno scivolamento di terreno.  Il termine “frana” deriverebbe dal latino fragina, derivante a sua volta da frangere, ossia rompere, e starebbe ad indicare il distacco dai terreni in pendio di masse ingenti di materiali rocciosi, dunque un evento che incide in profondità rispetto al pendio mentre lo smottamento incide a livello superficiale. Ecco dunque la messa in pericolo di un numero indeterminato di persone, per la difficoltà, nel caso specifico, o impossibilità di un suo contenimento.   “Per dare il segno tangibile dell’assurdità e irrazionalità, di quanto sostenuto dal Tribunale di Vibo, alla luce di quello che le stesse foto evidenziano con chiarezza assoluta, cosa sarebbe successo – ha evidenziato l’avvocato Pasquino – se in quel momento al posto di quella sola macchina fosse passato un autobus di ragazzi o di turisti diretti al mare?”. La frana sarebbe stata invece di così vaste proporzioni che “il veicolo ed i corpi finirono proiettati nella vallata sottostante a centinaia di metri di distanza dalla strada.  Plastico è il toccante racconto – ha ricordato l’avvocato Pasquino – del teste Virdò che ha riferito come, per effetto della frana, quel bimbo che stava per salvare venne trascinato via con il veicolo dalla violenza della frana proiettato nel vallone sottostante, mentre il corpo di Ulisse venne addirittura trovato svestito.  Di quale scolamento, dunque, si sta parlando?  E questa – ha sostenuto l’avvocato Pasquino – non sarebbe frana secondo il Tribunale?”. Il resto dei motivi d’appello è teso a dimostrare che non si è trattato di un evento imprevedibile poiché il professore Versace nel corso del processo di primo grado ha affermato che tale evento alluvionale «può essere considerato, nell’ambito dei cosiddetti cicloni mediterranei, nell’ambito di quegli eventi che, pur caratteristici di altre zone, dove parla di uragani, si verificano frequentemente anche nella nostra zona, particolarmente nell’Italia meridionale ed in Calabria».

Nel collegio di difesa figurano gli avvocati: Giuseppe Di Renzo, Francesco Adamo, Giovanni Marafioti, Antonio Fuscà, Domenico Giosuè Megna, Antonio Crudo, Giovanni Vecchio (per il solo Gaetano Ottavio Bruni), Luigi Li Gotti, Giuseppe Altieri. Gli interventi dei difensori degli imputati sono previsti per l’udienza del 27 novembre.

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