L’inchiesta sugli ultrà si allarga: la lente degli investigatori sui legami tra ‘ndrangheta e delinquenza da stadio
Dalle indagini sulla curva del Milan emerge il tentativo di scalata al tifo rossonero di Domenico Vottari nel 2018, idea nata addirittura 12 anni prima
L’inchiesta della Dda di Milano sulle infiltrazioni della ’ndrangheta nella curva Sud di San Siro – quella di fede milanista – non è finita. Tutt’altro: in uno dei passaggi dell’ordinanza che conferma il carcere per Daniele Cataldo, luogotenente del capo ultrà Luca Lucci, il gip Domenico Santoro parla di «diffuso, costante e generalizzato clima di omertà» al secondo anello verde dei tifosi rossoneri. Il clima – valuta il magistrato – sarebbe il segnale di «un progressivo avvicinamento tra delinquenza da stadio e ’ndrangheta che lascia pensare a sviluppi preoccupanti». È proprio su questi sviluppi che si sottolinea l’esistenza di una «ulteriore esigenza probatoria» che, «in questo momento, riguarda l’approfondimento delle interazioni con la ’ndrangheta».
È successo anche in curva Nord con l’ingresso di Antonio Bellocco e con la vicinanza tra gruppi di estrema destra e pezzi di famiglie mafiose arrivate a Milano dalla Locride. Per risolvere le controversie contavano cognomi e parentele, lignaggio ’ndranghetistico e conoscenze maturare in carcere, dove la delinquenza da stadio ha spesso incontrato i clan mafiosi. Nell’indagine sul tentato omicidio di Enzo Anghinelli, l’uomo che avrebbe spalleggiato la scalata della Sud per spodestare Luca Lucci, ci sono passaggi che richiamano i giorni in cui un nuovo gruppo ultrà, i Black Devil, cerca di farsi spazio tra gli anelli rossoneri.
In testa a quella fazione c’è Domenico Vottari, nativo di Melito Porto Salvo. Nel 2018 Vottari è in ascesa: con Lucci in carcere le sue ambizioni sembrano poter trovare sfogo. Ne parlano le cronache dell’epoca, lui nega recisamente (e oggi non è indagato nelle inchieste emerse sui rapporti tra clan e tifoserie): dice di non avere nulla a che fare né con la criminalità organizzata e né con il mondo ultrà. Lo spiega in un’intervista a Klaus Davi: «Ho fatto 16 anni di carcere, ma non sono un mafioso, lo dicono le sentenze».
La situazione, però, è tesa: nel novembre 2018 il suo bar, che si chiama proprio Black Devil, subisce un attentato dinamitardo. Qualche mese dopo arriva il tentato omicidio di Anghinelli. Gli investigatori, intanto, incrociano (Continua a leggere l’articolo su LaCNews24.it)