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Il procuratore Falvo all’evento di Libera: «A Vibo il problema non è solo la ‘ndrangheta ma anche la mentalità. Il nostro obiettivo intercettare i giovani a rischio»

L’allarme lanciato dal magistrato: «Nessuno vuole venire a lavorare qui, è più difficile fare persino il parroco». La penetrazione della ‘ndrangheta nell’economia e i crimini violenti non legati alla mafia

Il procuratore Falvo all’evento di Libera: «A Vibo il problema non è solo la ‘ndrangheta ma anche la mentalità. Il nostro obiettivo intercettare i giovani a rischio»
L'evento di Libera a Vibo e, nel riquadro, il procuratore Falvo

Una delle province d’Italia con il più alto tasso di infiltrazione della criminalità organizzata, che ha portato non solo allo scioglimento di parecchi Comuni ma alla «penetrazione della ‘ndrangheta nell’economia del territorio». Senza se e senza ma, la provincia di Vibo Valentia necessità di grande attenzione. L’allarme lo ha lanciato il procuratore Camillo Falvo nel corso della manifestazione Contromafiecorrzione che Libera ha organizzato proprio a Vibo.

La guerra contro i crimini violenti non legati alla ‘ndrangheta

Anni di «disattenzione» sulla provincia calabrese hanno lasciato strascichi pesanti. Il lavoro da fare è ancora tanto e arduo, al netto di maxi operazioni come Rinascita Scott che sono nel rito ordinario ha portato alla sbarra 388 persone. Dati recenti ci dicono che Vibo Valentia «ha il doppio del numero di  interdittive antimafia rispetto alla popolazione», dice Falvo.
E il problema non è solo la ‘ndrangheta, «il problema è anche di mentalità. Perché Vibo Valentia per tanti anni è stata la provincia con il più alto tasso di crimini violenti, non legati alla ‘ndrangheta. Omicidi e tentati omicidi, uso di armi… Noi abbiamo fatto una guerra in questi anni. Non so quante armi abbiamo sequestrato che non erano legate alla criminalità organizzata ma erano frutto di quella mentalità. Perché se tu per tanti anni opprimi un territorio con quelle dinamiche poi la gente si nutre di quelle dinamiche».

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«È più difficile fare anche il parroco»

Con queste premesse, spiega il procuratore, « qui è più difficile tutto, è più difficile fare anche il parroco», dice rivolto a don Luigi Ciotti. «Perché noi – prosegue – abbiamo avuto nell’ultimo anno anche parroci che sono stati minacciati, dileggiati, diffamati».
Non solo: «È più difficile fare l’amministratore, fare il politico. Abbiamo avuto 17 colpi all’auto di un sindaco un paio di settimane fa. È più difficile lavorare come sanitario».

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«Nessuno vuole venire a lavorare a Vibo»

Il risultato è che Vibo Valentia viene annoverata tra le sedi disagiate in tutti i settori. Chi arriva resta poco e appena può se ne va.
«Questo determina che qua a lavoraci non vuole venire nessuno. Non vogliono venire i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri, i magistrati. Io sto facendo una guerra, da quando mi sono insediato qui a Vibo: ad ogni inaugurazione dell’anno giudiziario ripeto sempre la stessa solfa. Parliamo delle sedi disagiate, del fatto che in alcune sedi vanno solamente mot (magistrati ordinari in tirocinio, ndr) di prima nomina che appena possono vanno via. Non si riesce a fare una legge per le sedi disagiate perché i processi li contano, non li pesano».

Basti pensare a Rinascita Scott: era un processo solo ma pesantissimo e a giudicarlo sono state chiamate tre giudici che «tutti e tre assieme avevano sei anni di anzianità. Un processo di quelle proporzioni è stato trattato da chi aveva fatto pochissimo è che aveva il diritto di crescere come magistrato e non di dover sopportare quel peso. Loro ce l’hanno fatta, sono state bravissime. Ma un po’ più di attenzione ci vuole».

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Prevenire: intercettare la gioventù a rischio

Costante è il lavoro che il procuratore sta portando avanti nelle scuole. Quello che gli preme, dice, non è intercettare quei giovani che hanno già un’idea di legalità in mente – « chi viene già vestito da Libera», dice Falvo – ma coloro che «i genitori non fanno uscire quando noi andiamo nelle scuole».
«È quella la gioventù che noi dobbiamo intercettare. Questo è lo sforzo vero. Però dobbiamo fare tutti parte della stessa squadra. Dobbiamo cercare di non lavorare con le armi spuntate, come stiamo facendo».

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