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Le ricerche e gli scavi realizzati nei siti archeologici vibonesi approdano in Repubblica Ceca

Il docente Citter dell’Università di Siena, impegnato in varie campagne scavi in Calabria e in diversi centri del Vibonese, è stato ospite dell’accademia delle scienze di Praga: «L’archeologia può consegnare qualcosa di concreto alle comunità»

Le ricerche e gli scavi realizzati nei siti archeologici vibonesi approdano in Repubblica Ceca
Il professor Citter a Praga

Gli studi condotti in Calabria, gli scavi realizzati nel Vibonese ma anche le prospettive sociali che l’archeologia può fornire. Sono stati questi gli spunti alla base della lezione del professor Carlo Citter, Dipartimento di storia e beni culturali – Università degli Studi di Siena, ospite dell’Accademia delle scienze di Praga. Un primo passo, come ha spiegato lo stesso docente, propedeutico all’instaurazione di un rapporto di ricerca con l’Università di Siena. In questo contesto, sono stati illustrati i progetti portati avanti dal professore in terra calabra. La lectio, incentrata sul tema “Un Medioevo senza fine? Nuove prospettive per il Centro Sud”, è stata accolta con grande interesse presso l’istituzione ceca.

I progetti nel Vibonese

Le strade antiche

Il docente, ormai da anni, guida interessanti “spedizioni” atte a riscoprire tasselli di storia locale partendo dall’analisi dei ruderi dei castelli, dei reperti venuti alla luce, la frequentazione dei siti. Non tralasciato il censimento delle masserie abbandonate, degli impianti produttivi (mulini, frantoi), della rete della connettività e dei calvari: «I progetti portati avanti a Briatico, Arena, Mileto, Filadelfia – ci spiega il professore – ci fanno capire la lunghissima durata del periodo medievale. Ci sono luoghi abitati per alcuni periodi, poi abbandonati e infine ripopolati nuovamente. Tra gli elementi di continuità con il passato, per esempio figurano le strade, molte delle quali millenarie».

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Viceversa, ci sono “elementi” di rottura con la propria storia come per esempio le catastrofi naturali, la peste nera: «Anche in questo caso, i dati che giungono fino a noi fanno riflettere. Tra il XVII e il XX secolo diversi terremoti devastarono la Calabria. In alcune città i castelli furono abbandonati ma i superstiti decisero di trasferirsi a poche miglia di distanza. È il caso di Mileto, oppure Castelmonardo. Perché si insediarono a pochi chilometri? Perché non hanno lasciato in maniera definitiva quei luoghi?».  

Fino al Settecento, «quei territori erano ricchissimi. Attraverso le attività di ricerca cerchiamo di capire come questa ricchezza veniva redistribuita sul territorio». Castelli, insediamenti produttivi ma anche casolari abbandonati e calvari. Nella ricostruzione della storia antica, un ruolo di prim’ordine, al contrario di quanto si possa pensare, lo rivestono i vecchi pagliai e le “edicole” sacre: «In alcuni casolari – aggiunge il docente – sono state rinvenute ceramiche di 400 anni prima. Cosa significa? Testimoniano la presenza dell’uomo nelle stesse aree, sebbene forse con pratiche differenti». 

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Archeologia sociale

Castelmonardo

Per il professor Citter l’archeologia non è un’attività di ricerca fine a sé stessa. Ma può avere una «valenza sociale». Attraverso gli studi, la riscoperta delle colture passate, il recupero di razze autoctone e la creazione di allevamenti si può «consegnare qualcosa di concreto alla comunità. Anche per contrastare l’emorragia di giovani. Si può creare impresa». Produzione di benessere, dunque, partendo dalla ricostruzione dell’identità storica dei territori, dalla loro vocazione e dalla fruizione del patrimonio culturale: «Le nuove generazioni sono “scollegate” dai contesti in cui vivono. Non si parlano neanche più i dialetti». La tutela delle radici culturali è indispensabile anche di fronte ai fenomeni migratori: «In Calabria, da 3mila anni, la parola d’ordine è accoglienza». Ecco perché risulta fondamentale, nel raffronto con altri popoli, conoscere e tenere ben salda la propria storia.

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