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Narcotraffico internazionale, Giuseppe Mancuso colpevole in via definitiva

La Cassazione deposita le motivazioni della sentenza per il 59enne di Limbadi, alias “Pino Bandera”, responsabile di aver fatto giungere in Calabria oltre tre tonnellate di cocaina

Narcotraffico internazionale, Giuseppe Mancuso colpevole in via definitiva
Foto d'archivio

Sono state depositate dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione le motivazioni della sentenza con la quale il 7 maggio scorso è divenuta definitiva la condanna a 8 anni di reclusione nei confronti di Giuseppe Mancuso, 59 anni, di Limbadi, detto “Pino Bandera”. In secondo grado, l’imputato è stato ritenuto colpevole dalla Corte d’Appello di Reggio Calabria che ha però escluso l’aggravante dell’ingente quantitativo di sostanza stupefacente e da qui la pena dimezzata rispetto ai 16 anni di reclusione inflitti in primo grado dai giudici al termine del processo nato dall’operazione denominata “Grandi Firme”.Giuseppe Mancuso è stato ritenuto responsabile di aver trafficato e fatto giungere in Calabria oltre tre tonnellate di cocaina. Per la Suprema Corte, la sentenza di secondo grado dà atto sia delle modalità di identificazione degli utilizzatori delle diverse utenze telefoniche e della concatenazione delle intercettazioni che hanno permesso di identificare in Giuseppe Mancuso il soggetto denominato come ‘l’avvocato’, sia delle modalità di decrittazione del linguaggio utilizzato dai compartecipi nelle conversazioni telefoniche. Con l’espressione ‘ì trenta fogli’ sono poi da considerarsi il quantitativo di stupefacente, essendo smentita la circostanza che la conversazione del 3 luglio 2003 fra l’imputato ed una certa Isabella, nella quale si faceva riferimento ad una vicenda civilistica mai precisata, avesse un collegamento concreto con il narcotraffico. [Continua dopo la pubblicità]

La Cassazione ricorda poi che nelle ipotesi in cui il traffico, la detenzione o lo spaccio di stupefacenti emerga da prove indiziarie o da dichiarazioni captate, in assenza di sequestro dello stupefacente (quella che con un’espressione scorretta, ma sicuramente efficace, viene definita “droga parlata”) la loro valutazione, deve essere compiuta dal giudice con particolare attenzione e rigore ed, ove siano prospettate più ipotesi ricostruttive del fatto, la scelta che conduce alla condanna dell’imputato deve essere fondata su un dato probatorio “al di là di ogni ragionevole dubbio”, caratterizzato da un alto grado di credibilità razionale, circostanza avvenuta per i giudici nel caso del processo a carico dell’imputato.

Giuseppe Mancuso (fratello di Pantaleone Mancuso, detto “Scarpuni”) si trova detenuto nel carcere di Tolmezzo per scontare altre condanne definitive per narcotraffico rimediate al termine del processo “Decollo”. In passato era stato coinvolto nella storica operazione “Dinasty” contro il clan Mancuso. Condannato a 6 anni per associazione mafiosa dal Tribunale di Vibo Valentia, era poi stato assolto in appello. 

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