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Controesame per Emanuele Mancuso: «La mia famiglia aveva paura del pentimento di Mantella». E Ascone chiede le cure: «Forse ho qualcosa di brutto»

Nel processo Maestrale il collaboratore di giustizia incalzato dalle domande degli avvocati difensori. I due carabinieri al servizio di “U Pinnularu”. I Bellocco infastiditi dal boss scissionista perché non faceva passare i tir

Controesame per Emanuele Mancuso: «La mia famiglia aveva paura del pentimento di Mantella». E Ascone chiede le cure: «Forse ho qualcosa di brutto»
Nicotera vista dall'alto e nel riquadro Emanuele Mancuso

Le telecamera rimossa e sicuramente piazzata dalle forze dell’ordine. I rapporti di Salvatore Ascone con due carabinieri. Le notizie, poche, su Andrea Mantella e la paura, tanta, della sua famiglia quando ha cominciato a collaborare con la giustizia.
Si è concluso ieri mattina il controesame del collaboratore Emanuele Mancuso nell’ambito del processo Maestrale, istruito dalla Dda di Catanzaro contro la ‘ndrangheta vibonese. Mancuso è stato controesaminato dagli avvocati Salvatore Staiano, Giovanni Vecchio, Antonio Papalia.

Ascone e i due carabinieri

Come è possibile che Salvatore Ascone che vien considerato un uomo intraneo alla cosca Mancuso, e con una posizione «medio-alta», potesse avere rapporti anche con i servizi segreti e, nonostante questo, restasse in vita?
È questo il succo della prima domanda che l’avvocato Salvatore Staiano rivolge al collaboratore di giustizia Emanuele Mancuso, figlio di un elemento di spicco della ‘ndrangheta vibonese, Pantaleone Mancuso, detto l’ingegnere.
Di servizi segreti Emanuele Mancuso dice di non saperne niente. «Io so – spiega – che aveva rapporti con due carabinieri. Uno se lo teneva per se e uno era condiviso».

Le telecamere rimosse

In più occasioni il collaboratore aveva parlato di una telecamera in montagna che lui aveva rimosso.
La difesa gli chiede se ha contezza di chi l’avesse piazzata.
Secondo Emanuele Mancuso, viste alcune caratteristiche tecniche della telecamera, questa è stata montata dalla Distrettuale o dai carabinieri. «Per me – dice – la Distrettuale, le forze dell’ordine, sicuro. Perché aveva lo stesso impianto di altre telecamere che avevo rimosso: batterie collegate a serie, le scatole delle batterie messe sottoterra, l’impianto con la wi-fi. Era classica delle forze dell’ordine».

Le lamentele dei Bellocco per le mazzette di Mantella

Secondo l’avvocato Staiano c’è un grande assente nelle dichiarazioni di Emanuele Mancuso: il boss scissionista di Vibo Valentia, oggi collaboratore di giustizia, Andrea Mantella.
Emanuele Mancuso, pur essendo parco di particolari rispetto ad altre dichiarazioni, elenca una serie di sue esternazioni in cui viene citato Mantella.
In una occasione ricorda un incontro con Totò Bellocco di San Ferdinando. Questi disse che «stava andando da Scarpuni (Pantaleone Mancuso alias Scarpuni, ndr) perché c’era uno di Vibo Valentia che non faceva passare i tir perché chiedeva la mazzetta». Il soggetto in questione era Mantella definito persona «che dava fastidio, che si contrapponeva». Il fatto viene collocato cronologicamente tra il 2011 e il 2013.

La paura dei Mancuso per le dichiarazioni di Mantella

Emanuele Mancuso ricorda poi i suoi familiari «sconvolti e preoccupati» quando appresero della collaborazione di Mantella con la giustizia, avvenuta a maggio 2016.
«Avevano paura – dichiara il teste – di quello che stava dicendo e chiedevano agli avvocati cosa stava raccontando e chiedevano se si pentivano pure Leone Soriano o Quaranta. Chiedevano e avevano paura».

Secondo l’avvocato Staiano, Mancuso non sa «nemmeno nella costellazione del firmamento ‘ndranghetistico che posizione avesse Mantella» e chiede al collaboratore allora perché i suoi familiari fossero così preoccupati.
«Sicuramente perché aveva a che fare con loro che conosceva dinamiche…». Ma le dinamiche tra la sua famiglia e Mantella, Mancuso afferma di non ricordale e, aggiunge, «io so quello che ho dichiarato».

La «situazione disperata» di Salvatore Ascone

«Ha intenzione di farsi curare?». La domanda del presidente del collegio è netta.
Dimagrito, pallido, appeso a una stampella, l’imputato Salvatore Ascone dice che «sì, ho intenzione di farmi curare», dice che non sente più gli effetti della morfina, che ha un’infezione che non regredisce, dovrebbe stare, a detta dei medici, in una stanza sterile, e «non riesco a lavarmi nemmeno due robe».
La domanda del presidente non è stata fatta a caso. Risale al 9 luglio una dichiarazione medica di rifiuto, da parte di Ascone, di fare una Tac.
Ma adesso l’uomo, detenuto nel carcere di Secondigliano, spiega che «ho rifiutato la Tac per paura di avere qualcosa di brutto». Adesso, dice Ascone e lo rimarca anche la difesa, le condizioni sono peggiorate. «Sto male male», dice l’imputato. «La situazione è disperata», sostiene l’avvocato Staino. Si chiede che si intervenga al più presto con una Pet per avere una diagnosi certificata. Il presidente collegio – che già alla scorsa udienza aveva preso atto delle mutate decisioni di Ascone che accettava di farsi curare – ha affermato che solleciterà perché la Pet venga effettuata.

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