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«Pentito perché temeva di finire all’ergastolo o per paura di Mancuso?», Staiano incalza Mantella

Nel controesame del collaboratore di giustizia durante il processo Maestrale l’avvocato ha più volte messo in discussione le motivazioni che avrebbero spinto l’ex boss a saltare il fosso

«Pentito perché temeva di finire all’ergastolo o per paura di Mancuso?», Staiano incalza Mantella
L'avvocato Salvatore Staiano e, nel riquadro, Andrea Mantella

Cambiare vita o paura di subire un ergastolo? Un patrimonio ricco o un quadro di povertà assoluta? La paura alla notizia della scarcerazione di Luigi Mancuso? Un fuoco di fila di domande, un botta e risposta nel corso del quale sono anche volati parecchi stracci. Pirotecnico come sempre il controesame che ha visto protagonisti l’avvocato Salvatore Staiano e il collaboratore di giustizia Andrea Mantella.

Andrea Mantella, 53 anni, è stato tratto in arresto nel 2011. A maggio del 2016, poco prima di terminare la pena, ha deciso di collaborare con la giustizia. Cresciuto in seno alla cosca Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia fin da quando era ragazzino, se n’è distaccato per creare un gruppo autonomo che si poneva in contrasto con il gruppo egemone dei Mancuso. Alla domanda sul perché ha deciso di collaborare con la giustizia dice sempre di avere sentito la necessità di cambiare vita.
Nel corso del controesame con l’avvocato Salvatore Staiano, difensore di Salvatore Ascone, nell’ambito del processo Maestrale, questa tesi del voler cambiare vita viene messa in discussione.

Il congiunto lametino che lo accusava di omicidio

«Non aveva preoccupazione di finire all’ergastolo?», chiede l’avvocato.
L’asso nella manica della difesa sarebbero alcune affermazioni accusatorie su un omicidio da parte di un congiunto lametino. Mantella aveva, infatti, acquisito una parentela con la cosca Giampà in seguito al matrimonio di sua sorella.
«Non sapevo cosa dicesse il congiunto – dice Mantella –. E anche se fosse questo il motivo non credo che sia stato determinante perché già dal 2012 stava parlando Giuseppe Giampà», figlio di Franco Giampà, boss della cosca oggi al 41bis.

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Il verbale e la preoccupazione di essere accusato di omicidio

«Produrremo un verbale – anticipa il difensore – del 25 novembre 2016 dove lei ha risposto all’avvocato Contestabile il quale ha dimostrato, perché lei lo ha detto, che vi era una sua preoccupazione di poter essere accusato di omicidio».

La preoccupazione per la scarcerazione di Luigi Mancuso

A questo fatto si aggiungerebbe la preoccupazione che Mantella avrebbe manifestato, il 16 luglio 2012, per la scarcerazione di Luigi Mancuso. Nel corso di un colloquio familiare, alla notizia della scarcerazione del boss, dice Staiano, Mantella avrebbe reagito chiedendo con una certa insistenza «ma si tratta di Luigi? Si tratta di Luigi?» ponendo le braccia sul tavolo della sala colloqui.

«Io non ho contezza di quello che lei mi sta dicendo avvocato e non so nemmeno a quale colloquio si riferisce» e poi aggiunge che comunque se fosse stato spaventato dalla scarcerazione di Luigi Mancuso «avrei collaborato nel 2012».

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Le condizioni economiche di Mantella prima della collaborazione

Altro quid: le condizioni economiche di Andrea Mantella quando è stato tratto in arresto nel 2011.
Secondo il collaboratore il suo patrimonio consisteva in circa «50/60mila euro». Inoltre c’erano persone che pagavano gli avvocati.
Ma dai colloqui in carcere con l’ex moglie e i congiunti, dice l’avvocato, emerge «un quadro di povertà assoluta». Si va dalla vendita di un maialino per pagare l’avvocato a frasi come «sempre morto di fame resto», fino al consiglio alla moglie di non andare a trovarlo in carcere in Sardegna d’estate perché i prezzi erano troppo alti.
«Era tutta una messa in scena» per non far sapere quanti soldi aveva nascosti, dice Mantella, che all’epoca, aggiunge, si spacciava per contadino e che la cifra che dovevano recuperare non era di poche migliaia di euro ma 35mila euro. Una bella differenza coi giorni d’oggi: «Adesso vivo con la comunità di Sant’Egidio, sono rovinato».

«I soldi stanno finendo»

Ma secondo la difesa anche la moglie e la sorella mostravano preoccupazione – «i soldi stanno finendo». «Anche sua moglie era d’accordo a mentire? Perché quando si parla di 35mila euro si dice “i soldi stanno finendo, ce ne sono 40” e sua sorella “no, saranno 33”. Le stavano dicendo come il suo piccolo tesoretto si stava dissipando».
Ma il collaboratore ribatte che all’epoca usava un linguaggio criptico «anche perché Scrugli era stato ucciso da poco e poi io ho vissuto gran parte della gioventù in carcere e quindi stavo attento alle intercettazioni perché poi me le ritrovo a processo».

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I contatti tra Mantella e Luigi Mancuso

Mantella ha più volte raccontato che dopo la sua scarcerazione Luigi Mancuso ha creato all’interno del sistema criminale un ambiente disteso. Ma come può affermarlo, è la perplessità della difesa, se nel 2012, quando Mancuso è uscito dal carcere, Mantella era in prigione e, prima di essere scarcerato, ha collaborato con la giustizia e non ha più avuto contatti con il boss?
«Lo so perché mi aggiornava mio cugino Salvatore Mantella che conosceva le dinamiche criminali su Vibo Valentia».
Andrea Mantella sostiene di avere comunicato al procuratore Falvo che, visto il carisma di Luigi Mancuso, prima avrebbe sistemato le crepe che si erano create nel suo numeroso clan e poi «avrebbe fatto una ‘ndrangheta unitaria».

«Si si certo – interviene Staiano – che è quello che è stato smentito nella sentenza Petrolmafie. Io non voglio la lezioncina sulla ‘ndrangheta».
Ma Mantella insiste e va avanti: «… per fare una ‘ndrangheta unitaria. Poi se c’è qualche profano saccente che ha statuito diversamente, pazienza. Io, essendo ai tempi un mafioso, sapevo le dinamiche e le tematiche. Certamente io riconoscevo come Supremo Luigi Mancuso».

Le doti di ‘ndrangheta al figlio di Romana Mancuso

Per quanto riguarda la conoscenza con Lugi Mancuso, Mantella afferma di averlo visto a fine anni ’80 quando andava al chiosco dei formaggi di Carmelo Lo Bianco, «poi lo incontrai nel carcere di Siano quando mi ha detto di conferire la dote di camorra al nipote Giuseppe Rizzo, figlio della sorella Romana. Era in compagnia di mio cognato Pasquale Giampà».

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