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«La testimone di giustizia né costretta a lavorare né ridotta in schiavitù»: ecco perché Mancuso e la madre 85enne sono stati assolti

Le motivazioni della sentenza che ha cancellato le accuse per fratello e madre del boss “Scarpuni”. Cade anche l’aggravante mafiosa: «Non fanno parte del clan». Il parallelismo con la tragedia di Tita Buccafusca solo una congettura di Ewelyna Pytlarz

«La testimone di giustizia né costretta a lavorare né ridotta in schiavitù»: ecco perché Mancuso e la madre 85enne sono stati assolti

«Non sono emersi elementi che portano a dire che Pytlarz fosse costretta a lavorare. Peraltro, è emerso che dal lavoro – certo faticoso in quanto come noto le attività di panificazione si effettuano negli orari notturni – poteva assentarsi qualora lo avesse ritenuto». È questo il cuore delle motivazioni della sentenza che ha assolto Domenico Mancuso, 50 anni, di Nicotera, e la madre Giulia Rosaria Tripodi, 85 anni, di Limbadi, dall’accusa di aver ridotto in schiavitù l’ex moglie di lui, la testimone di giustizia Ewelyna Pytlarz. Era stata la stessa Procura distrettuale a chiedere in aula l’assoluzione dei due, difesi dall’avvocato Francesca Comito, del Foro di Vibo Valentia. La sola Tripodi doveva, invece, rispondere anche del reato di maltrattamenti, per il quale il pm Francesca Delcogliano ne aveva chiesto la condanna a 4 anni di reclusione. La Corte presieduta dal giudice Massimo Forciniti ha fatto cadere le accuse per il primo capo di imputazione “perché il fatto non sussiste” e per il secondo “per non aver commesso il fatto”.

Nelle motivazioni viene evidenziato che la testimone di giustizia «andava al mare quando i suoi parenti la andavano a trovare per il fine settimana, riusciva ad andare due volte a settimana dall’estetista o a trovare la cognata, a passeggiare sul lungomare con la figlia con la propria autovettura, ovvero poteva andare in Germania a far visita alla propria madre per periodi non brevi». Quell’auto, peraltro, «le era stata intestata» dopo che il suocero gliel’aveva regalata «e la utilizzava (utilizzo pressoché esclusivo) per le sue esigenze e per le esigenze familiari. Anche la connessione a internet e il personal computer sarebbero “entrati” in casa Mancuso dopo l’arrivo della donna. Sono, per il giudice, «dati che escludono quello stato di sfruttamento del soggetto passivo proprio perché non è emersa una condizione di integrale asservimento, ma al contrario si è trattato di un apporto alla gestione delle attività di famiglia da cui la famiglia stessa (di cui lei faceva parte) traeva i mezzi di sostentamento».

Certo la vita con Domenico Mancuso non era facile. Pytlarz «ha subito i modi poco educati e poco rispettosi del marito, sovente offensivi, in alcuni casi violenti, che hanno dato luogo alla condanna per maltrattamenti in famiglia». La vicenda della separazione tra i due ha, tuttavia, evidenziato «che Pytlarz quando ha deciso di porre fine al rapporto coniugale lo ha fatto liberamente allontanandosi dalla casa coniugale senza che nessuno la trattenesse». Riguardo alla suocera, poi, sono state evidenziata «poche e generiche condotte, peraltro non contestualizzate» dalla vittima nel corso degli interrogatori. La donna 85enne, come sarebbe stato evidenziato anche dalla madre della persona offesa, sarebbe intervenuta spesso «per mettere pace conoscendo e giustificando il carattere irruente e nervoso del figlio». Di più: la madre di Pytlarz, sostiene che Tripodi sarebbe stata «sempre molto gentile, ospitale e accomodante, atteggiamento che contrasta con chi si assume abbia soggiogato» la testimone di giustizia.

La sentenza entra anche nel dettaglio delle parentele dei due imputati assolti, rispettivamente fratello e madre del boss Pantaleone alias “Scarpuni”, ritenuto capo dell’ala armata del clan, e di Giuseppe alias “Bandera”. Le contestazioni ai due erano infatti aggravate dalle modalità mafiose. Anche in questo caso, il giudice ridimensiona il contesto: «Non risulta agli atti che gli imputati personalmente facciano o abbiano fatto parte di un sodalizio criminale e, comunque che le vicende emerse possano essere state influenzate dall’aver avuto familiari di peso criminale». I fatti, che risalgono al 2013, «sono risultati essere circoscritti al privato rapporto tra coniugi, deterioratosi nel tempo». La ’ndrangheta, insomma, non c’entra. E anche il riferimento alla triste vicenda della cognata, Tita Buccafusca, moglie del boss Scarpuni morta in circostanze misteriose dopo aver scelto di collaborare con la giustizia e averci poi ripensato, è una congettura «frutto di riflessioni» di Pytlarz.

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