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Elezioni amare, i dirigenti provinciali di Fdi Tigani e Venturino processano La Gamba: «Sua la responsabilità della débâcle»

I due esponenti di Fratelli d’Italia attaccano duramente il coordinatore vibonese del partito: «Supino a Forza Italia, ma il Pdl è finito nel 2013. Se la città è ora in mano al centrosinistra è colpa sua»

Elezioni amare, i dirigenti provinciali di Fdi Tigani e Venturino processano La Gamba: «Sua la responsabilità della débâcle»

È guerra aperta nel partito vibonese di Fratelli d’Italia. A dichiararla sono i dirigenti provinciali Franco Tigani e Patrizia Venturino, che puntano apertamente il dito contro il coordinatore provinciale Pasquale La Gamba, che – dicono (a lettere maiuscole) – ha la «gravissima responsabilità storica di aver consegnato la città» alle sinistre dopo ben 27 anni di governo di centrodestra». Un lungo j’accuse che parte dal mancato coinvolgimento dell’intero coordinamento provinciale di Fratelli d’Italia «che non è stato minimamente protagonista della partita», passando per l’accusa di aver «subito tacitamente le scelte di Forza Italia», fino alla scelta dei candidati consiglieri, quando – a loro dire – La Gamba «non ha voluto adottare alcun criterio per la formazione della lista, scegliendo una posizione supina rispetto al movimentismo di Fi».

La nota contro La Gamba

«Leggiamo, basiti, le stringate dichiarazioni rilasciate alla stampa dal presidente provinciale del nostro partito in ordine al risultato delle elezioni amministrative nella nostra città. In poco meno di venti righe, per ben due volte, rimarca, a suo avviso, il risultato positivo di Fratelli d’ Italia, lancia altrove la responsabilità della sconfitta, propone un confronto a Forza Italia per analizzare i motivi della stessa, chiosa con gli auguri al sindaco eletto, pensando, inopinatamente, di mettersi al riparo e sfuggire alle sue responsabilità apicali per la cocente disfatta del partito, per la sconfitta della coalizione, per aver trascinato il candidato sindaco allo sbaraglio. Il presidente provinciale si deve assumere, in quota parte, la GRAVISSIMA RESPONSABILITA’ STORICA DI AVER CONSEGNATO LA CITTA’ ALLE SINISTRE DOPO BEN 27 ANNI DI GOVERNO DI CENTRODESTRA, interrotti solo dalla nefasta parentesi dell’amministrazione Sammarco, proprio nel momento in cui fratelli d’Italia, a livello nazionale, registra il massimo dei consensi e si consolida, di gran lunga, come primo partito della Nazione. Una storia iniziata male e finita peggio nel corso della quale il coordinamento provinciale di Fratelli d’Italia non è stato minimamente protagonista della partita. Ha subito, in primis, tacitamente, la decisione riportata dal presidente provinciale di accettare le scelte di Forza Italia, qualunque esse fossero, non ha voluto adottare alcun criterio per la formazione della lista, ha liquidato frettolosamente la proposta di un componente del coordinamento di veicolare una nostra candidatura a sindaco alla coalizione, ha scelto, nella sua maggioranza, una posizione supina rispetto al movimentismo di Forza Italia. L’apoteosi di tale atteggiamento di sudditanza si è concretizzata al momento della composizione della lista in un contesto che, da un lato, ha visto emarginata una parte del coordinamento provinciale, la nostra, e, dall’altra, la plastica incapacità del presidente provinciale di comporre una lista rappresentativa e competitiva all’altezza delle aspettative di un grande partito di Governo».

«Solo il pomeriggio prima della data di scadenza della presentazione della lista il presidente provinciale ha provveduto a convocare il coordinamento e solo in quella sede abbiamo appreso che la lista si componeva di 25 candidati su 32, che quattro non erano neanche residenti a Vibo Valentia e che altri quattro erano consiglieri uscenti di Fi e che gli iscritti al partito erano meno di una decina. In quella sede si è dimostrato subito vano il tentativo di alcuni di far passare il partito “attrattivo”, per cui forze fresche si avvicinavano ad esso per sposarne principi e valori, quando, invece, la realtà era semplicemente rappresentata dal cinico combinato disposto, da un lato di alcuni di inserirsi in una lista strutturalmente debole che offriva, per questo, alte probabilità di elezione e, dall’altro, accolta favorevolmente dal presidente provinciale, che, incapace di comporre la lista, non aveva remore a farsela completare da forza Italia, accrescendo, in tal modo, la sudditanza a quel partito e minando, di conseguenza, l’autonomia decisionale di Fratelli d’Italia. In particolare tra i candidati, assumeva particolare rilievo quella del consigliere uscente di forza Italia, Antonio Schiavello il quale, per come è noto a tutti, nel 2019 era stato letto nelle liste di Fratelli d’Italia per abbandonarla, qualche tempo dopo e passare nelle fila di Forza Italia. Non solo. Allo stesso consigliere Schiavello fu affidata la delega al Turismo, sottratta, ironia della sorte, proprio all’assessore di Fdi, Michele Falduto. Parliamo dello stesso Schiavello candidato ed eletto, ora, nella lista del nostro partito».

«Ma il risultato elettorale disastroso è figlio anche di una vistosa miopia politica che il gruppo dirigente del partito ha dimostrato nel corso dell’intera campagna elettorale non percependo che la città rivolgeva lo sguardo altrove rispetto alla supponenza di un vertice politico che ripeteva come un mantra, in ogni occasione, il nome della Presidente Meloni ( parte l’applauso…), dietro il quale ha pensato di nascondere i propri limiti e la propria insipienza e che, invece, gli elettori hanno ben capito e distinto se è vero come è vero che nella stessa giornata elettorale 4.000 vibonesi, pari a oltre il 25%, con due schede in mano, hanno sicuramente premiato la nostra leader, ma di questi, ben 2.500 hanno sonoramente bocciato la proposta amministrativa del partito e la lista, votandone altre e riducendo il consenso al partito ad un misero 8% circa. Qualcuno non ha capito, perché non è nelle condizioni politiche di capire, che mentre noi ci autoincensavamo e ci compiacevamo di noi stessi, nello splendido cortile di palazzo Gagliardi, fuori, in corso Vittorio, decine di commercianti alzavano cartelli listati a lutto dichiarando la morte del commercio e che quello era il mondo reale e la Vibo che soffriva ed alla quale un consunto e rabberciato programma elettorale non offriva soluzioni. Qualcuno non ha capito che mentre noi sfilavamo con l’intera classe dirigente, tra l’altro alla sola presenza degli addetti ai lavori e circondati dal deserto di pubblico ed elettori, un intero quartiere della città, si mobilitava per la mancanza di acqua potabile».

«Qualcuno non ha capito che, invece di fare chiacchiere, conventicole e riunioni ristrette, “vertici “, come si suol dire, era, invece, necessario correre incontro ai commercianti ambulanti del mercato coperto che, in una mattina di sabato, in piena campagna elettorale, si sono ritrovati senza postazioni di vendita e reclamavano, rumorosamente, il loro diritto ad esercitare la professione. Qualcuno non ha capito che il ripetere pedissequamente, ad ogni piè sospinto, che Maria Limardo è stato e rimane un ottimo sindaco, che ha operato benissimo, che è stata garanzia di trasparenza e buon governo (per noi cosa vera) ed esporre, contemporaneamente, sul palco, un altro candidato sindaco, ha rappresentato un ossimoro indigesto per molti elettori di centrodestra che non hanno, giustamente, compreso la strategia sottesa a tale operazione.
Qualcuno non ha capito, subito dopo il primo turno, alla luce dei dati elettorali, che occorreva immediatamente un cambio di paradigma, che occorreva darsi una strategia diversa, che occorreva quantomeno discuterne immediatamente in coordinamento provinciale, da noi urgentemente richiesto, con minaccia di autoconvocarci e che, convocato, non ha voluto e non ha saputo darsi alcuna linea d’azione.
Qualcuno non ha capito, che il PDL di Scopellitiana memoria è finito nel 2013 e che di tutt’altro tenore è il messaggio politico lanciato dalla Presidente Meloni, innovativo, moderno, inclusivo, che per essere correttamente compreso ed interpretato richiede duttilità, approccio metodologico, apertura al consenso, umiltà, doti che sono indispensabili per chi si propone di essere classe dirigente, ma che, se uno non ce li ha non se li può inventare e non gli resta che trarne le scontate conclusioni».

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