Maestrale, Mantella: «Luigi Mancuso riconosciuto come il referente di Mamma ‘Ndrangheta, lo scettro lo aveva lui»
Secondo il collaboratore di giustizia il boss di Limbadi «è stato il più giovane capocrimine del Vibonese perché si relazionava con le altre cosche con diplomazia». Il suo ruolo nel "tribunale" di omertà di San Luca
Se Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, negli anni in cui è stato alla guida della cosca ha creato acredini e divisioni, Luigi Mancuso, al contrario, una volta uscito di prigione e riprese le redini del locale di Limbadi, «ha messo insieme la ‘ndrangheta del Vibonese. Ha fatto una pacificazione».
Il collaboratore di giustizia Andrea Mantella non ha dubbi sul ruolo e sulla caratura criminale del “Supremo”.
Luigi Mancuso il più giovane capocrimine del Vibonese
Rispondendo alle domande del pm Antonio De Bernardo, nel corso del processo Maestrale, l’ex boss scissionista di Vibo Valentia, ha detto che «Luigi Mancuso è stato il più giovane capocrimine del Vibonese perché si relazionava con le altre cosche con diplomazia» mentre, al contrario, il nipote Giuseppe Mancuso «era una persona rozza, rude, un violento anche nel modo di esprimersi».
Il «carisma di Luigi Mancuso è sempre stato riconosciuto da tutta la ‘ndrangheta».
«Riconosciuto formalmente da Mamma ‘Ndrangheta»
«Già all’età di 40/45 anni – racconta Mantella – mi ricordo era riconosciuto come il referente di Mamma ‘Ndrangheta, del cosiddetto tribunale di omertà di San Luca. Lo scettro lo ha sempre avuto Luigi Mancuso».
«Era una carica formale?», chiede il pm.
«Si si, era una carica riconosciuta a tutti gli effetti. Questo me lo ha detto personalmente il mio ex capo Carmelo Lo Bianco, ma l’ho appreso anche da Franco Giampà (boss dell’omonima cosca di Lamezia Terme, ndr), da Pasquale Giampà…».
Il ruolo della commissione della ‘ndrangheta
Per meglio comprendere le regole e i ruoli della ‘ndrangheta, il collaboratore spiega che il ruolo che rivestiva Luigi Mancuso gli era riconosciuto dalla «commissione» ovvero da un gruppo che comprende «tutti i capicrimine del territorio e non solo, perché poi la ‘ndrangheta si è espansa in tutta Italia e all’estero».
La commissione ha un riferimento geografico che è il punto nevralgico di tutta la ‘ndrangheta: «a San Luca, Polsi, comandata da Antonio Pelle “Gambazza”, Romeo “u Scaccu”, Papalia di Platì, i De Stefano, i Commisso di Siderno», insomma i vertici apicali della criminalità organizzata denominata, in gergo, “la Mamma”.
Questi formavano una commissione che riconosceva tutti i locali di ‘ndrangheta.
Quando il “ministro” di Polsi ordinò l’omicidio di Gancitano
Un ruolo di capocrimine che, in virtù del riconoscimento di Polsi, veniva riconosciuto da tutte le ‘ndrine del Vibonese che «non solo riconoscevano questa carica» ma dovevano risponderne.
Un esempio del potere di questa commissione su tutti i locali di ‘ndrangheta, riporta Mantella, è quello dell’ordine di uccidere Filippo Gancitano, giovane leva del clan Lo Bianco-Barba, malvisto dalla commissione perché, dice Mantella, era omosessuale. «Qualcuno aveva rappresentato alla commissione che all’interno dei Lo Bianco-Barba avevano un gay. Ai tempi c’era agli arresti domiciliari a Vibo Valentia, nella zona del carcere vecchio, Domenico Alvaro, alias “Scagliuni”, anche lui “ministro” di questa commissione. Lui ha intimato a Enzo Barba e a Carmelo Lo Bianco di prendere dei provvedimenti altrimenti gli avrebbero bloccato tutte le affiliazioni e rischiavano di essere riconosciuti come locale bastardo».
Alla fine «si fa sempre riferimento a questa commissione. Devi essere obbligatoriamente riconosciuto come affiliato».