Imponimento, 48 condanne e 25 assoluzioni: tutte le cosche vibonesi coinvolte nel processo. Non regge l’accusa per i fratelli Stillitani
Il procedimento ha riguardato gli Anello-Fruci di Filadelfia, i Tripodi di Porto Salvo, i Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia, i Cracolici di Maierato e i Bonavota di Sant’Onofrio. Assolti invece l’ex assessore regionale Francescantonio e il fratello Emanuele. Tutti i nomi
Quarantotto condanne e 25 tra assoluzioni e prescrizioni. Questa la sentenza che il Tribunale di Lamezia Terme – Angelina Silvestri presidente, Maria Giulia Agosti, Gian Marco Angelini a latere – ha emesso questa mattina nell’ambito del processo Imponimento, istruito dalla Dda di Catanzaro contro la cosca Anello-Fruci di Filadelfia, il cui potere criminale si estende dalla provincia di Vibo fino al comprensorio di Lamezia Terme. Il procedimento, il cui dibattimento ha preso piede il 24 settembre 2021, vede coinvolte anche le cosche Tripodi di Porto Salvo, Lo Bianco-Barba di Vibo Valentia, Cracolici di Maierato e Bonavota di Sant’Onofrio.
Settantatré gli imputati, tra appartenenti all’associazione criminale, imprenditori di riferimento, politici, pubblici funzionari ed esponenti delle forze dell’ordine che avrebbero agevolato la consorteria.
La condanna più alta è andata ai vertici della cosca: Tommaso Anello, 30 anni di reclusione; Rocco Anello, classe ’91, 24 anni.
Sentenza sugli imprenditori di riferimento
Il procedimento Imponimento contempla alcuni imprenditori che la Dda di Catanzaro considera di riferimento per la consorteria di Filadelfia. Imprenditori che da potenziali vittime della prevaricazione mafiose avrebbero intessuto un rapporto di utilità con la ‘ndrangheta. Per il collegio questo teorema si è rivelato fallace. Dunque non ci sarebbe stato un rapporto tra clan e colletti bianchi che che avrebbe permesso alla cosca di inserirsi negli affari e agli imprenditori di godere di protezione e di sbaragliare la concorrenza.
Nel giudizio di primo grado, infatti, sono stati assolti, tra gli altri, i fratelli Francescantonio ed Emanuele Stillitani: erano accusati, tra le altre cose, di concorso esterno in associazione mafiosa per avere intrapreso, in qualità di imprenditori nel settore turistico, un rapporto di cointeressenza con le cosche di ‘ndrangheta. Per loro la richiesta di condanna era a 21 anni di reclusione.
Viene considerato imprenditore di riferimento intraneo alla cosca Antonio Facciolo (condannato a 15 anni di reclusione), «già precedentemente gravitante nell’orbita della cosca Bonavota di Sant’Onofrio, alleata della cosca Anello». Facciolo avrebbe permesso agli Anello di infiltrarsi e di avere voce negli affari del settore turistico, anche mediando con altri imprenditori.
Sempre in tema di affari della ‘ndrina di Filadelfia, Francesco Caridà (condannato a 12 anni) è considerato il mediatore tra la consorteria e le vittime delle pretese estorsive. Lavorava sempre sui cantieri di interesse del sodalizio ed è accusato anche di essersi reso responsabile dell’acquisizione, sempre schermata, da parte della cosca Anello-Fruci di attività immobiliari e di immobili.
Continua a leggere l’articolo su LaC News24.