Omicidio Ripepi a Piscopio, la Cassazione: «Carnovale deve restare in carcere»
I giudici depositano le motivazioni con le quali negano gli arresti domiciliari al 49enne che ha confessato di aver ucciso lo scorso anno l’ex cognato
Sono state depositate dalla prima sezione penale della Cassazione le motivazioni con le quali ha rigettato il ricorso di Giuseppe Carnovale, 49 anni, di Piscopio, raggiunto il 26 ottobre dello scorso anno da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere con l’accusa di omicidio ai danni dell’ex cognato Massimo Ripepi, il 42enne ucciso il 21 ottobre precedente a colpi di pistola in via Regina Margherita a Piscopio. Anche per la Suprema Corte – confermando in ciò la decisione del Tribunale del Riesame – vanno escluse solo le aggravanti della premeditazione del delitto, ma non la riqualificazione dell’omicidio volontario in omicidio preterintenzionale in quanto la riqualificazione trovava “ostacolo insormontabile nella circostanza che l’azione omicidiaria si era svolta mentre Ripepi si era dato alla fuga alla vista di Carnovale armato di pistola, sicchè l’indagato – esplodendo vari colpi all’indirizzo dell’excognato – aveva quanto meno accettato il rischio di colpirlo mortalmente”. Per la Cassazione il ricorso è infondato – e quindi Carnovale deve restare in carcere – poiché “il ricorrente propugna una interpretazione della condotta dell’indagato intesa alla mera causazione di lesioni, con radicale esclusione di esiti letali, ma sul punto – che necessariamente involge l’esame di elementi fattuali, dai quali desumere le reali intenzioni dell’agente, e come tali intangibili in sede di legittimità ove congruamente motivati – la motivazione del Tribunale del Riesame” è per la Suprema Corte “inattaccabile per essere aderente ai dati di fatto, nonché rispondente agli indirizzi in tale materia espressi dalla giurisprudenza di legittimità”. [Continua dopo la pubblicità]
Secondo la Cassazione, inoltre, alla stregua della giurisprudenza, deve ritenersi corretto “l’inquadramento operato nell’impugnata ordinanza che ha individuato nella condotta di Carnovale un omicidio volontario, considerata la concreta previsione dell’evento-morte derivante da una serie di indici fattuali quali l’uso di un’arma da fuoco con esplosione di colpi già all’interno del locale dove si trovava la vittima, la distanza di sparo di pochi metri, nel corso di un inseguimento di Ripepi che stava fuggendo dinanzi a Carnovale”.
Le modalità dell’azione delittuosa, “preceduta dall’acquisizione della disponibilità di un’arma da fuoco, dall’esplosione di plurimi colpi, anche all’interno di un locale pubblico con il rischio di attingere persone estranee”, per la Cassazione sono tutti “elementi indicativi di una spiccata capacità criminale” di Giuseppe Carnovale che “non si ritiene circoscritta all’episodio specifico”. Gli elementi a favore dell’indagato valorizzati dalla difesa – rappresentata dall’avvocato Adele Manno – secondo i giudici di legittimità “non elidono l’individuata esigenza cautelare e ben potranno essere proposti più appropriatamente in fase di giudizio, potendo eventualmente valere ad attenuare il trattamento sanzionatorio del Carnovale”.
Infine, quanto alla scelta della misura cautelare della detenzione in carcere, “la riconducibilità dell’omicidio a contrasti sorti in ambito familiare esclude che eventuali cautele domestiche siano efficaci in senso dissuasivo, potendo in tal caso l’indagato trovare aiuto ed appoggio da parte di membri della famiglia”. Tali motivazioni del Riesame sono per la Cassazione non censurabili in sede di legittimità. Da qui il rigetto del ricorso.
Da ricordare che il 29 ottobre dello scorso anno il gip del Tribunale di Vibo Valentia, in accoglimento delle istanze di analogo contenuto formulate dall’avvocato Adele Manno e dal pm della Procura di Vibo Corrado Caputo, ha disposto l’immediata liberazione di Michele Ripepi (figlio della vittima), 18 anni, di Piscopio, che si trovava agli arresti domiciliari dal 26 ottobre precedente con l’accusa di favoreggiamento personale nei confronti dello zio Giuseppe Carnovale. La difesa in questo caso ha invocato la non punibilità di carattere soggettivo (art. 384 del codice penale) prevista per chi si è trovato nella necessità di salvare un prossimo congiunto.
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