Inchiesta “Via col Vento” sui Parchi eolici: condanne in Cassazione e annullamenti con rinvio
Vanno definitive le pene per un imprenditore e per il boss di Filadelfia. Processo di secondo grado da rifare per Pantaleone Mancuso. L’indagine della Dda di Catanzaro ha acceso i riflettori sugli affari nei parchi di Amaroni e Cortale da parte dei clan del Vibonese
Due annullamenti con rinvio e due condanne che passano in giudicato. Questa la decisione della seconda sezione penale della Cassazione nel processo nato dall’operazione “Via col vento” della Dda di Catanzaro che mirava a far luce sugli affari dei parchi eolici in Calabria ad opera di alcuni clan. Nove anni di reclusione a testa è la condanna che va definitiva per il boss di Filadelfia Rocco Anello, 63 anni, e per Romeo Ielapi, 52 anni, imprenditore di Filadelfia. Annullamento con rinvio, invece, per il boss di Limbadi e Nicotera Pantaleone Mancuso, 65 anni, detto Scarpuni (sta scontando l’ergastolo in via definitiva per altri procedimenti) e per Riccardo Di Palma, 52 anni, di San Lupo (Bn). In appello il 23 febbraio dello scorso anno Pantaleone Mancuso era stato condannato a 9 anni di reclusione, mentre Riccardo Di Palma era stato assolto. Nel primo caso è stato quindi accolto il ricorso del difensore di Pantaleone Mancuso (l’avvocato Francesco Calabrese), mentre per Di Palma è stato accolto il ricorso presentato dalla Procura generale di Catanzaro avverso l’assoluzione. Per entrambi, quindi – Mancuso e Di Palma – sarà necessario un nuovo processo di secondo grado dinanzi alla Corte d’Appello di Catanzaro.
Il ricorso accolto della Procura generale
Per quanto riguarda la posizione di Riccardo Di Palma, la Cassazione ritiene che la sentenza assolutoria della Corte d’Appello di Catanzaro contenga “un deficit motivazionale laddove non prende in considerazione una serie di intercettazioni certamente significative, né spiega perché esse siano state implicitamente considerate irrilevanti, giungendo così a conclusioni assolutorie che, nel loro complesso, risultano contraddittorie con altre affermazioni contenute in motivazione”. Una diversa sezione della Corte d’Appello di Catanzaro dovrà quindi “rivalutare le prove contenute nelle intercettazioni in atti, svolgendo una valutazione anche complessiva delle stesse al fine – spiega la Cassazione – di verificare se vi sono prove, oltre ogni ragionevole dubbio, sulla piena consapevolezza di Riccardo Di Palma di aver fornito un contributo concorsuale alle condotte a lui contestate e in cui La Molisana Trasporti è stata ritenuta “strumento” per la realizzazione degli illeciti”.
La posizione di Mancuso
Per quanto riguarda invece Pantaleone Mancuso, la Cassazione ha accolto il suo ricorso in quanto le prove a suo carico sono costituite principalmente da due telefonate intercettate. “I giudici di appello hanno fornito una lettura congiunta delle due telefonate, giungendo poi ad affermare che da esse si ricaverebbe la prova dell’apporto concorsuale del Mancuso, specificamente nell’aver egli rafforzato in questo modo la richiesta estorsiva di cui esecutore era Giuseppe Evalto. Tuttavia – fa osservare la Suprema Corte – deve essere sottolineato che nelle due telefonate intercettate i colloqui avvenivano sempre tra soggetti coinvolti a diverso titolo nell’estorsione, non essendoci alcuna interlocuzione con i dirigenti della società vittima dei delitti contestati. Questi ultimi, sentiti in dibattimento in qualità di persone offese, non hanno mai affermato di aver ricevuto minacce per conto del Mancuso, né di aver percepito che dietro ad Evalto o ad altri protagonisti dell’estorsione vi fosse la presenza di Pantaleone Mancuso”. Da qui il deficit motivazionale della sentenza, evidenziato dall’avvocato Francesco Calabrese, in ordine alla sussistenza di “prove certe circa l’apporto concorsuale di Pantaleone Mancuso, evidenziando, peraltro, la contraddizione della motivazione della sentenza laddove essa da un lato condanna Mancuso in concorso per le estorsioni e l’illecita concorrenza relativa alle opere civili del cd. bypass di Cortale e dall’altro – evidenzia la Cassazione – fa risalire il presunto intervento di Mancuso solo in un secondo momento, ovvero quando sarebbe sorto un contrasto sul pagamento della guardiania dei cantieri dei lavori stradali”. La Suprema Corte sottolinea inoltre che le due telefonate intercettate sono datate 28 giugno 2012, mentre le condotte illecite contestate a Mancuso sono “sicuramente antecedenti a quel giorno, non solo perché le date di consumazione dei reati ivi indicate sono formalmente antecedenti, ma perché l’intero compendio probatorio porta ad affermare che le minacce di Evalto, che aveva imposto alla Nordex spa l’affidamento dei lavori alla ditta di Romeo Ielapi per il tramite della formale subappaltatrice La Molisana Trasporti srl risalivano ai mesi precedenti allorquando – fa notare la Cassazione – i lavori oggetto degli illeciti erano già iniziati da un po’ di tempo”.
Le posizioni di Anello e Ielapi
I ricorsi di Rocco Anello e Romeo Ielapi sono stati ritenuti invece inammissibili e per loro fa quindi definitiva la condanna a 9 anni (e 9mila euro di multa) di reclusione a testa. Entrambi gli imputati vengono quindi riconosciuti colpevoli per i fatti illeciti relativi alla realizzazione del parco eolico di Amaroni, così come “quando era sorta la necessità di modificare il tracciato stradale in territorio di Cortale, onde consentire ai trasporti eccezionali di raggiungere il sito di installazione degli impianti eolici, Evalto per il tramite della Molisana srl, subappaltatrice del trasporto, aveva imposto alla Nordex spa, che ne avrebbe in ultimo sopportato i costi, di affidare il lavoro alla ditta di lelapi Romeo di Filadelfia. Tale assunto per la Cassazione risulta confermato dalle intercettazioni del 29/05/2012 in cui “Ielapi convoca Giuseppe Evalto davanti a Rocco Anello e dai commenti circa l’incontro emerge come si fosse stabilito l’affidamento dei lavori stradali di Cortale alla ditta Ielapi, mentre le minacce di Evalto ai dirigenti della Nordex spa sono espresse nell’interesse della ditta di Romeo Ielapi, che, però, di fatto rispondeva al famoso “geometra” individuato nella persona di Rocco Anello”. Quanto al “metodo mafioso” nell’estorsione, per la Cassazione “le minacce perentorie di far bloccare i lavori e mandar via i cantieri da parte di Evalto (e quindi anche da parte dei suoi correi) erano espressione dell’esteriorizzazione del metodo mafioso, poiché le persone offese si erano rese ben conto che quelle minacce fossero espressione della forza intimidatrice derivante dalla ‘ndrangheta radicata in quel territorio, a cui si aggiungeva il dato oggettivo che sia Evalto, sia i ricorrenti Anello e Ielapi erano stati già condannati a vario titolo per associazione mafiosa”. Gli imprenditori sarebbero stati così costretti a subappaltare i lavori inerenti la realizzazione dei parchi ad imprese controllate dalle cosche, anche aggirando il regolamento contrattuale sottoscritto dalle imprese aggiudicatarie. Giuseppe Evalto, nativo di Spilinga ma residente a Pizzo – la cui posizione è rimasta di competenza della Dda di Reggio Calabria ed è stato condannato in abbreviato – sarebbe stato quindi il soggetto chiave delle relazioni fra le varie cosche interessate ai lavori e l’imprenditore di riferimento di Pantaleone Mancuso al fine di rapportarsi con le grandi imprese che avevano ottenuto l’appalto per la costruzione dei parchi eolici.
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