Dai salotti vip alla condanna nel processo Petromafie a Vibo: la caduta di Lady Petrolio e la sua ricerca «spasmodica del profitto»
Le motivazioni della sentenza per Anna Bettozzi, un tempo protagonista dei paginoni nelle riviste di gossip. Niente aggravante mafiosa per l’imprenditrice che diceva «dietro c’ho la camorra». Le sue società in rapporti con le ditte degli imprenditori calabresi D’Amico, considerati vicini al clan Mancuso
Le sue società, attraverso intermediari campani, avevano rapporti anche con le ditte legate a Giuseppe D’Amico, imprenditore che i magistrati della Dda di Catanzaro considerano in rapporti con il clan Mancuso di Limbadi. Gli affari dell’oro nero portavano nelle casse della Made Petrol milioni di euro, in massima parte proventi di un maxi raggiro ai danni del Fisco. Per Anna Bettozzi, secondo i giudici che hanno firmato le motivazioni della sentenza Petrolmafia, contavano soltanto i soldi.
Era mossa dalla «spasmodica e incessante accumulazione di profitti illeciti, quale provento dell’attività di contrabbando di prodotti petroliferi». Dai paginoni delle riviste di gossip alla polvere di una condanna (non la prima) a 7 anni e 6 mesi di reclusione, con l’esclusione dell’aggravante mafiosa: Lady Petrolio – così era salita agli onori delle cronache mondane – è stata sanzionata all’interdizione perpetua ai pubblici uffici. L’onta dei rapporti con la mafia è caduta «in assenza di prove circa l’effettiva sussistenza ed operatività del clan Moccia». Una «lacuna» che, per i magistrati che hanno firmato le motivazioni della pronuncia, non può essere colmata nemmeno con le sentenze prodotte dal pubblico ministero, tenuto conto della cornice temporale dei fatti oggetto delle pronunce in esame».
Agli atti resta l’intercettazione richiamata dai giudici in sentenza. Quella in cui Lady Petrolio si esprime in questi termini parlando con la propria sorella al telefono: «A Pie’, io dietro c’ho la camorra (…) lo sai quanto c’ha in giro Felice? 15 milioni al giorno. Quell’altro 5 milioni, io e altri 5 insieme c’abbiamo 15, 20, 25, 30 milioni al giorno». Al di là del riferimento alla malavita campana, per il collegio è chiaro «che Anna Bettozzi fosse pienamente consapevole della frode in atto, tanto da rivendicare una cospicua fetta dei relativi profitti illeciti».
Bettozzi gestiva la Made Petrol, azienda al centro dei traffici milionari: l’aveva ereditata da suo marito (si chiamava Max Petroli prima del cambio di denominazione) e intestata «solo formalmente» alla figlia. Di fatto gestiva tutto lei, come riferiscono al telefono gli imprenditori che avevano rapporti d’affari con la donna: «Qua chi decide è solo una persona, la proprietaria, Anna Bettozzi, okay? Con i consigli miei». Ancora più espliciti i passaggi contenuti in un’altra intercettazione in cui Lady Petrolio indica le percentuali di suddivisione dei profitti: «Quindi 33, 33, 33? Ti va bene, io te e Felice». I soci sono Alberto Coppola e Felice D’Agostino. La frase in questione consentirebbe «di ascrivere a Bettozzi il pieno controllo delle attività illecite riconducibili alla Made Petrol, anche con riferimento agli snodi intermedi della catena fraudolenta». Il gigantesco giro di società serviva (anche) a comprare carburante a tassi agevolati perché indicato come gasolio agricolo. E aveva, come detto, referenti in Calabria: i fratelli D’Amico, legati al clan Mancuso di Limbadi e proprietari di ditte con ruoli di primo piano nel raggiro al Fisco con al centro la Made Petrol Italia, passata di mano dopo la morte del petroliere romano Sergio Di Cesare.
Lady Petrolio ne ha curato gli interessi fino ai rovesci giudiziari: prima di allora era già nota come aspirante popstar e animatrice dei salotti della Capitale. Una parabola in ascesa, con amici potenti e riflettori accesi, come nel caso del presunto fidanzamento con l’attore Gabriel Garko. Tutto precipita quando nella vita dorata di Anna Bettozzi si affaccia l’inchiesta Petrolmafie. La arrestano nel maggio 2019 a bordo di una Rolls Royce alla frontiera di Ventimiglia: era diretta al Festival di Cannes con una discreta quantità di contanti. Nascosti in una scatola di stivali a gamba alta c’erano 300mila euro. Molto meno di quanto gli inquirenti avrebbero trovato durante una perquisizione in hotel a Milano: 1,4 milioni di euro. Ana Betz, questo il suo pseudonimo da cantante, è già stata condannata a 11 anni e 6 mesi dalla Corte d’appello di Roma nel dicembre 2023. Anche in quel caso i giudici hanno escludo l’aggravante mafiosa, ridimensionando la condanna rimediata in primo grado nel processo con il rito abbreviato. Sul campo giudiziario restano milioni di euro evasi tra Iva, accise e Ires: una montagna di denaro. Sullo sfondo, invece, c’è un’altra indagine per corruzione aperta dalla Procura di Roma: Lady Petrolio avrebbe fatto avere regali costosi e buoni carburante a due funzionari dell’Agenzia delle Dogane che, in cambio, le avrebbero dato una mano con una delle sue aziende per il rilascio di alcune licenze. La caduta dai salotti vip alle aule di giustizia non è ancora terminata.