giovedì,Dicembre 26 2024

Testamenti falsi per un’eredità milionaria, fondamentali le perizie dell’Istituto di Criminologia

Rettore e docente dell’università vibonese scelti come pool di difesa nella vicenda del patrimonio da 36 milioni di un facoltoso uomo genovese. Il Tribunale ha condannato l’imputato

Testamenti falsi per un’eredità milionaria, fondamentali le perizie dell’Istituto di Criminologia

I testamenti individuavano un unico erede a cui andava un patrimonio enorme, oltre 36 milioni di euro tra beni immobili e contanti. Peccato che quei testamenti, due dei tre finiti in tribunale, erano stati falsificati. È una vicenda giudiziaria che ha tenuto banco per diverso tempo a Genova, ma nella quale ha avuto un ruolo fondamentale anche l’Istituto di Criminologia di Vibo Valentia. Vicenda conclusa con una sentenza di condanna per Eugenio De Filippi, 81 anni, ex broker residente a Montecarlo. L’uomo è stato condannato per avere falsificato e usato due testamenti olografi in cui veniva nominato erede universale del patrimonio dell’amico Benedetto Mariano Contardo, rampollo di una famiglia milionaria che, al momento della sua morte, avvenuta il 29 maggio 2013 possedeva 66 immobili di gran pregio dislocati tra centro città, Boccadasse e Albaro e più 3,5 milioni di euro in contanti.

«Nel dibattimento – fa sapere oggi l’Istituto di Criminologia – è emerso come de Filippi abbia fatto di tutto per scalzare i parenti del de cujus, esclusi o penalizzati dai due testamenti olografi contestati; tra gli eredi vi era la signora Elettra Dacci, difesa in giudizio dall’Istituto Italiano di Criminologia di Vibo Valentia, con un pool difensivo guidato dal criminologo clinico e rettore Saverio Fortunato, insieme al penalista Marco Baroncini, docente nel medesimo Istituto di diritto processuale penale». Ecco la storia. «Vi erano tre testamenti, il primo del 26.03.2012, con cui veniva nominato “erede universale” Eugenio De Filippi; il secondo del 09.08.2012, redatto dal notaio, con cui venivano nominati eredi i parenti e la sua compagna, Elettra Dacci; il terzo del 18.09.2012, con cui veniva nominato “unico erede” ancora Eugenio De Filippi. Sul piano criminologico la prima domanda da porsi era: come mai il de cujus andando dal notaio per dettare testamento in data 09.08.2012 aveva lasciato i suoi averi, in mancanza di moglie e figli, alle persone a lui più vicine, parenti e alla compagna, ma senza lasciare nulla a De Filippi e, invece, nei due olografi, uno in data antecedente e uno successivo a quello notarile, lasciava tutto a De Filippi e nulla o quasi agli eredi e alla compagna Elettra Dacci?». Una faccenda complicata, con diverse figure a prendere parte all’intricato puzzle: «Un collegio peritale di tre grafologi nel rito civile e un collegio peritale di tre periti d’ufficio nel penale, in totale sei esperti più orientati alla veridicità che alla falsità dei testamenti olografi. Nel civile si era disposta la messa sotto sequestro dell’intero patrimonio».

Ma il professore Fortunato in aula ha dimostrato «la tecnica di falsificazione utilizzata nei due testamenti olografi», mentre l’avvocato Baroncini si è visto «costretto a chiedere alla Corte di Appello di Genova la ricusazione del giudice penale, giacché pur essendo già fissata l’udienza per il conferimento di incarico peritale d’ufficio, il giudice ha fatto retromarcia accogliendo come prova la Ctu del civile (che l’avvocato difensore di De Filippi aveva presentato come memoria); consulenza grafologica collegiale che asseriva la veridicità dei testamenti, anziché la falsità. Insomma – conclude la nota dell’Istituto – una battaglia giudiziaria lunga e difficile, dove la Procura di Genova, diretta dal procuratore aggiunto Giuseppe Pinto, ha svolto anche il suo prezioso ruolo ai fini di verità e giustizia».

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