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Autobomba di Limbadi, chieste in appello quattro condanne

La Procura generale ha concluso la requisitoria chiedendo alla Corte d’Assise d’Appello di Catanzaro la conferma di due ergastoli e pene più severe per due imputati

Autobomba di Limbadi, chieste in appello quattro condanne
L'auto dopo l'esplosione. A destra Matteo Vinci
Rosaria Mancuso

Requisitoria della Procura generale di Catanzaro dinanzi alla Corte d’Assise d’Appello a Catanzaro per il processo di secondo grado che ruota attorno all’autobomba di Limbadi costata la vita il 9 aprile 2018 al biologo Matteo Vinci. In particolare, la pubblica accusa ha chiesto la conferma della condanna all’ergastolo (più l’isolamento diurno per anni 1 e mesi 4) nei confronti di Rosaria Mancuso, 66 anni, di Limbadi e per il genero Vito Barbara, 30 anni (oltre all’isolamento diurno per anni 1 e mesi 2), ritenuti i mandanti dell’attentato. Per Domenico Di Grillo (marito di Rosaria Mancuso), 74 anni, di Limbadi, la Procura generale (rappresentata dal sostituto procuratore generale Luigi Maffia) ha chiesto la condanna a 22 anni di reclusione (10 anni in primo grado), mentre per Lucia Di Grillo, 32 anni (figlia di Rosaria Mancuso) è stata chiesta la condanna a 14 anni di reclusione (3 anni e 6 mesi in primo grado).
Impegnati nel collegio di difesa gli avvocati: Giovanni Vecchio e Francesco Capria per Rosaria Mancuso; Francesco Capria e Gianfranco Giunta per Domenico Di Grillo; Giovanni Vecchio e Fabrizio Costarella per Vito Barbara; Giovanni Vecchio e Stefania Rania per Lucia Di Grillo.

La sentenza di primo grado

Ricordiamo che in primo grado il reato di tentato omicidio – riferito ad un episodio del 30 ottobre 2017 – è stato riqualificato dalla Corte nel più lieve reato di lesioni personali.  In particolare, Domenico Di Grillo, Vito Barbara e Rosaria Mancuso erano accusati e sono stati ritenuti responsabili di aver colpito con un’ascia ed un forcone Francesco Vinci, con Rosaria Mancuso che avrebbe incitato gli altri due gridando: “Ammazzatelo, ammazzatelo”.  I colpi hanno provocato a Francesco Vinci un focolaio emorragico, una frattura scomposta della mandibola, una ferita al cranio, una ferita al viso, una vasta lacerazione della mucosa interna della guancia e ferite alle mani.
Vito Barbara, Domenico Di Grillo e Lucia Di Grillo sono stati ritenuti responsabili della detenzione illegale nel 2018 e della ricettazione di una pistola da ritenersi clandestina, oltre che della detenzione illegale di un fucile a pompa con matricola punzonata e della detenzione illegale di numerose munizioni, alcune caricate a pallettoni.
Non ha retto in primo, invece, l’accusa di estorsione aggravata dalle modalità mafiose mossa a Domenico Di Grillo, al genero Vito Barbara, a Lucia Di Grillo, e a Rosaria Mancuso.  Nello specifico, gli imputati – secondo l’accusa – avrebbero intimato a più riprese ai coniugi Vinci-Scarpulla di cedergli il fondo del quale erano proprietari sito a Limbadi in contrada Macrea.  Stessa formula assolutoria anche per il reato di minaccia aggravata dalle modalità mafiose contestato a Vito Barbara, Rosaria Mancuso e Domenico Di Grillo in relazione alle pressioni rivolte nei confronti di Francesco Vinci e Sara Scarpulla a cedere i loro terreni. I difensori degli imputati discuteranno nelle udienze del 27 giugno e del 10 luglio.

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