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Tentata estorsione mafiosa a Vibo, ordinanza confermata

La Suprema Corte ritiene sussistenti le esigenze cautelari per uno degli arrestati dell’operazione ‘Mbasciata

Tentata estorsione mafiosa a Vibo, ordinanza confermata
Emilio Pisano

Regge anche in Cassazione l’ordinanza di custodia cautelare del gip distrettuale di Catanzaro nei confronti di Emilio Pisano, 50 anni, di Ariola di Gerocarne, accusato del reato di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso. La Suprema Corte ha infatti confermato la decisione del Tribunale del Riesame di Catanzaro ritenendo il ricorso di Pisano inammissibile poiché proposto “per motivi manifestamente infondati”. L’aggravante del metodo mafioso nel reato di tentata estorsione, ad avviso della Cassazione, comporta “ex lege una doppia presunzione relativa, quanto alla sussistenza di esigenze cautelari ed alla necessità della misura della custodia in carcere per neutralizzarle. Il Riesame ha ben osservato che le modalità del fatto caratterizzato dalla protervia con la quale sono state insistentemente formulate, anche al domicilio della vittima, le richieste estorsive ed il precedente penale (porto d’armi) dal quale è gravato l’indagato, evidenziavano la perdurante concretezza del pericolo di recidiva che anche il gip aveva configurato, non eliminata dal tempo trascorso dai fatti (circa un anno)”. Emilio Pisanocognato del boss di Arena Antonio Gallace che è stato condannato all’ergastolo per l’omicidio di Giuseppe Russo e gravato da una condanna definitiva nell’ambito dell’inchiesta “Luce dei boschi” – si trova detenuto nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “’Mbasciata”, nata dalla denuncia di un imprenditore di Arena che, nel corso di alcuni lavori a Vibo nella zona della Terravecchia per il ripristino della conduttura fognaria, ha raccontato di essere stato avvicinato dallo stesso Pisano e da Vincenzo Punturiero, 65 anni, commerciante di Vibo, i quali gli avrebbero chiesto duemila euro, corrispondente al 5% del valore dell’appalto, riferendo di essere stati inviati da “amici di Vibo”. Le minacce  si sarebbero estrinsecate sia in maniera implicita che in maniera esplicita al fine di poter continuare ad eseguire l’appalto ottenuto senza “fastidi” trattandosi di “forestieri” che, proprio per aver sconfinato dal proprio Comune, avrebbero dovuto elargire una percentuale sul valore del lavoro alla cosca egemone di Vibo Valentia. 

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