mercoledì,Dicembre 25 2024

“Black money”, si va avanti tra testimonianze e strategie difensive

Nel procedimento contro i Mancuso sfilano imprenditori e funzionati chiamati in causa da Mantella. Gli imputati chiedono la remissione del processo dopo l’eco mediatica delle dichiarazioni rese da “Scarpuni”  

“Black money”, si va avanti tra testimonianze e strategie difensive

Giornata intensa sul piano delle deposizioni in aula quella del processo “Black money” che ha registrato oggi una nuova udienza nell’aula bunker del nuovo tribunale di Vibo Valentia. Diversi i testi sentiti in relazione alle dichiarazioni rese dal pentito Andrea Mantella che hanno chiamato in causa diversi imprenditori, commercianti e funzionari del Vibonese. Tra questi, il primo a rispondere alle domande formulate dall’avvocato Giuseppe Di Renzo, legale di Giovanni Mancuso, è stato l’imprenditore edile Gaetano Staropoli chiamato a rispondere circa la compravendita di un appartamento a Vena di Ionadi intercorsa tra lui e lo stesso Mantella. 

Il costruttore ha chiarito di aver incontrato Mantella allorquando si presentò «con aria minacciosa dimostrandosi interessato all’acquisto di un appartamento». Abitazione che acquistò poi ad un prezzo inferiore a quello richiesto da Staropoli che alla fine la cedette, anziché al prezzo di 60mila, per 40mila euro. 

Cifra della quale, ha riferito di aver poi incassato effettivamente solo 8.500 sulla base della “promessa” di futuro saldo del prezzo pattuito. «Nonostante le mie insistenze – ha spiegato ancora – non ho più ricevuto niente e ho infine dovuto cedere per timore che mi succedesse qualcosa». Quello stesso appartamento tornò poi nelle mani di Staropoli che però, come ha chiarito ancora l’interessato, dovette riacquistarlo ad un prezzo di 90mila euro, di cui 61mila euro subito e il resto alla vendita dell’abitazione. L’imprenditore ha poi smentito di essere, a quel tempo, sottoposto ad usura o di trovarsi in difficoltà economiche. Lo stesso ha chiarito ancora di non aver mai conosciuto Giovanni Mancuso. Il pm Marisa Manzini ha altresì chiesto un confronto tra teste e collaboratore di giustizia.       

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A quella di Staropoli è seguita la testimonianza del rivenditore di auto Francesco Ceravolo, che, rispondendo sempre a domande dell’avvocato Di Renzo, ha spiegato di conoscere di vista Mantella in quanto lo stesso si recava nel suo autosalone «a vedere qualche macchina» precisando di non ricordare l’incontro tra Mantella, Giuseppe Grasso e Paolino Lo Bianco che secondo il pentito sarebbe avvenuto proprio nel suo autosalone. 

A seguire è stato escusso Pasquale Annunziata, titolare di una macelleria di Mileto, in relazione all’acquisto di carne da Mantella. Costui, ha spiegato, «aveva acquisito il monopolio del commercio a Vibo solo dopo aver allontanato Giovanni Mancuso», personaggio, quest’ultimo, che Annunziata ha precisato di non aver «mai conosciuto in qualità di fornitore». Al contrario della famiglia Mantella dalla quale ha riferito di aver acquistato due vitelli «senza mai subire imposizioni sull’acquisto della carne».   

Sono stati poi ascoltati il direttore del carcere di Vibo, Mario Antonio Galati, teste della difesa di Damian Fialek affidata all’avvocato Mario Bagnato, sentito in relazione alle pressioni sulla psicologa dell’istituto per far spostare di cella Salvatore Mancuso. Ascoltati inoltre due ex dirigenti comunali: Silvana De Carolis e Giacomo Pinto. La prima, in servizio al Comune di Vibo dal 1998 al 2010, ha risposto alle domande degli avvocati Francesco Sabatino e Francesco Calabrese, legali di Pantaleone Mancuso, e del pm Marisa Manzini, spiegando di aver vagliato le richieste dell’imprenditore Francesco Cascasi sulla realizzazione di un pontile turistico al porto di Vibo Marina e chiarendo di aver dato «sempre parere negativo perché vi era in itinere uno strumento urbanistico per disciplinare gli interventi nelle aree demaniali e dunque non era chiaro come comportarsi per il rilascio delle concessioni». La De Carolis ha quindi chiarito che «il Comune stava per avere dei finanziamenti per il porto» richiamando una «delibera di Giunta con la quale si dava indirizzo a non rilasciare alcuna concessione».

Giacomo Pinto, ex dipendente del Comune di Briatico, è stato invece chiamato a rispondere in relazione alla realizzazione di un pozzo a San Costantino nel 2000. Vicenda che vide interessata la ditta “Idrosonda” «appartenente alla moglie di Salvatore Barbagallo di Vibo Marina. Ma poco tempo dopo – ha riferito Pinto – lui inviò una lettera in cui chiedeva di lasciare i lavori perché non lo facevano lavorare in quanto destinatario di danneggiamenti alle attrezzature in suo possesso. C’è quindi stata la rescissione del contratto su deliberazione della Giunta. Io – ha riferito Pinto – avevo denunciato tutto ai carabinieri e lo stesso fece lui (Barbagallo, poi divenuto testimone di giustizia, ndr) appena appresa la circostanza». 

Nel corso della stessa udienza, da parte degli imputati Pantaleone Mancuso, alias “Scarpuni” e Giuseppe Mancuso, nipote del primo, collegati in videoconferenza, è giunta la richiesta di remissione del processo, attraverso il conferimento di una procura ai loro legali, rilevando gravi situazioni che pregiudicherebbero lo svolgimento del processo stesso. Alla richiesta si sono poi associate le difese di altri imputati, ovvero dei citati Giovanni Mancuso e Damian Fialek nonché di Giuseppe e Agostino Papaianni, Carmela Lopreste, Gaetano Muscia e Ottorino Ciccarelli. 

L’istanza, che verrà proposta davanti alla Corte di Cassazione, trae origine dal caso innescato dalle dichiarazioni dello stesso Pantaleone Mancuso, rese in una precedente udienza nel corso della quale l’esponente del clan di Limbadi si era scagliato contro magistrati, avvocati e forze dell’ordine. L’eco mediatica di quell’episodio, cui poi erano seguite diverse precisazioni, ha infine convinto gli interessati a proporre la remissione del processo, il cui svolgimento risulterebbe “turbato” proprio da tale circostanza. Una volta depositata, la richiesta dovrà dunque essere vagliata dalla Suprema Corte.

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