venerdì,Novembre 22 2024

‘Ndrangheta: omicidio Di Leo a Sant’Onofrio, confermata la condanna per Fortuna

Decisive le confessioni del collaboratore Andrea Mantella e le tracce di Dna rinvenute sui guanti in lattice usati per portare a termine il delitto

‘Ndrangheta: omicidio Di Leo a Sant’Onofrio, confermata la condanna per Fortuna
La Cassazione e da destra: Francesco Fortuna, Onofrio Barbieri e Domenico Bonavota
Francesco Fortuna

Condanna a 30 anni di reclusione confermata dalla quinta sezione penale della Corte di Cassazione nei confronti di Francesco Fortuna, 44 anni, di Sant’Onofrio, ritenuto responsabile in via definitiva di essere stato uno degli esecutori materiali dell’omicidio di Domenico Di Leo, alias “Micu Catalanu”, ucciso il 12 luglio 2004 a Sant’Onofrio. La Suprema Corte ha così confermato la sentenza della Corte d’Appello di Catanzaro del 25 novembre 2022 dopo un precedente annullamento con rinvio rispetto ad un verdetto assolutorio in secondo grado. In primo grado l’imputato era stato giudicato con il rito abbreviato. Le indagini hanno portato ad accertare ragioni di attrito tra la vittima dell’omicidio e i Bonavota di San’Onofrio. Fra le ragioni di contrasto più importante, quella collegata agli interessi economici vantati dagli uni e dagli altri nella zona industriale di Maierato. Tali elementi erano stati successivamente confermati dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie del collaboratore di giustizia Andrea Mantella, che ammetteva di essere l’autore materiale dell’omicidio di Domenico Di Leo, da lui commesso in concorso con Francesco Fortuna e Francesco Scrugli, successivamente deceduto, pianificato nel corso di alcune riunioni tenute nei casolari di campagna dei Bonavota, insieme a costoro. Tali dichiarazioni sono state ritenute convalidate da diversi riscontri esterni e dalle propalazioni di altri collaboranti, che avevano “nel complesso confermato il contesto di maturazione del progetto omicidiario, ma soprattutto gli esiti degli accertamenti sulle tracce di Dna – positivamente comparato dal Ris dei carabinieri, in termini di completa sovrapponibilità, con quello del Fortuna dopo alcuni anni. Le tracce sono state repertate (con la redazione di una relazione di indagine biologica della polizia scientifica in data 8 novembre 2004) su uno dei guanti in lattice rinvenuti nell’immediatezza dei fatti nell’autovettura rubata, utilizzata dai sicari, che i medesimi avevano dato alle fiamme dopo avervi, tra l’altro, abbandonato le armi dell’agguato teso a Di Leo contro il quale sono stati sparati 45 colpi d’arma da fuoco.

Le motivazioni alla base dell’omicidio  

Domenico Di Leo

Domenico Di Leo, detto “Micu i Catalanu”, era ritenuto dagli inquirenti un componente dello stesso clan Bonavota con il ruolo di “braccio armato”.  Entrato in contrasto con i figli del defunto boss Vincenzo Bonavota, è stato attinto da diversi colpi d’arma (Kalashnikov e fucile a pompa), tanto che sul posto sono stati rinvenuti i bossoli di oltre 45 colpi. La decisività delle dichiarazioni accusatorie rese dal collaboratore Andrea Mantella, nell’interrogatorio del 04 maggio 2016, conseguiva al fatto che lo stesso, a distanza di alcuni anni dall’esecuzione dell’omicidio, si apriva alla collaborazione con la giustizia, ammettendo di avere ucciso Domenico Di Leo e chiamando in correità Francesco Fortuna e Francesco Scrugli (quest’ultimo nel frattempo deceduto), con cui aveva pianificato l’agguato mortale nel corso di alcune riunioni. A queste riunioni, secondo quanto riferito da Mantella e riportato dalla sentenza della Cassazione, avevano partecipato, anche Nicola Bonavota, Domenico Bonavota, Domenico Cugliari e Onofrio Barbieri, i quali, a loro volta, erano stati preventivamente autorizzati da Pasquale Bonavota che, all’epoca dei fatti, ricopriva un ruolo egemonico all’interno dell’omonima cosca. Vi è però da sottolineare che Pasquale e Nicola Bonavota sono stati assolti in via definitiva dal fatto di sangue, mentre la Cassazione il 3 maggio 2023 ha annullato con rinvio la condanna all’ergastolo nei confronti di Domenico Bonavota, 44 anni, di Sant’Onofrio, coinvolto anche lui nell’operazione “Conquista”. In appello è stato invece condannato a 30 anni di reclusione pure Onofrio Barbieri, anche lui di Sant’Onofrio, da qualche tempo passato tra le fila dei collaboratori di giustizia.

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